Questa settimana l’uscita di Endgame degli Avengers, senza dubbio l’evento cinematografico dell’anno, rischia di eclissare completamente l’uscita di un gruppo di film eterogenei e stimolanti, dal capitolo conclusivo della trilogia americana di Denys Arcand (La caduta dell’impero americano) ad Ancora un giorno, esperimento narrativo che si muove tra documentario e animazione per parlare della guerra in Angola negli anni Settanta. In questo pugno di opere da non sottovalutare va segnalato anche Sarah & Saleem (merito alla Satine Film che è riuscito a distribuirlo in una quarantina di sale), cui in Italia è stato aggiunto un titolo decisamente melodrammatico, ma non improprio, Là dove nulla è possibile.
E parte come un melò il film di Muayad Alayan, ispirato a un fatto di cronaca, mostrando l’amplesso nel retro d’un furgoncino tra Saleem (Massa Abd Elhadi), un palestinese che vive a Gerusalemme Est facendo il fattorino e Sarah (Silvane Kretchner), israeliana che gestisce un bar a Gerusalemme Ovest. È una coppia clandestina: Saleem è sposato con Bisan (Adeeb Safadi), dalla quale aspetta un bambino, Sarah è la moglie di un colonnello dell’esercito, David (Ishai Golan).
Sebbene i due cerchino di nascondere la relazione extraconiugale non tutto fila liscio, e qualcuno finisce per notare questa coppia mista israelo-palestinese. Il problema è legato alla presenza di David, che porta per inopinate coincidenze a far ipotizzare che dietro la tresca si nasconda ben altro, ossia una storia di spionaggio in cui Saleem sarebbe l’agente che convince Sarah a tradire la propria patria per farle rivelare importanti segreti militari. Il tutto, ovviamente, in una città che è una polveriera sempre sul punto di scoppiare.
Così partendo dal melodramma, Sarah & Saleem si trasforma progressivamente in un thriller politico molto teso, nel quale i comprimari David e Bisan, all’inizio opachi assumono ruoli sempre più centrali, rivelando le loro motivazioni, paure, l’orgoglio ferito. David è un militare dalla carriera immacolata che antepone a tutto la propria reputazione; Bisan cerca di trovare una chiave autonoma e indipendente per reagire a quel ruolo di donna tradita e sottomessa che il suo ambiente sociale vorrebbe imporle.
In questo modo il rapporto tra Sarah e Saleem, una passione nata casualmente, probabilmente neanche una grande storia d’amore, diventa la cartina di tornasole per rivelare le dinamiche di un mondo in cui ogni cosa necessariamente, al di là dell’evidenza, viene sempre ricollocata nella logica conflittuale d’una cornice di matrice politica.
Sotto la complessa stratificazione narrativa da thriller, che il film rende ancora più articolata con qualche rimescolamento dei tempi del racconto, Sarah & Saleem è un apologo trasparente: non sull’impossibilità dei rapporti tra arabi e israeliani, quello è l’ovvio presupposto, ma sul fatto che in un luogo come Gerusalemme persino i sentimenti vengano sempre riportati a categorie più generali di ordine sociale e politico che costituiscono l’unica chiave di lettura possibile. Ogni documento, dichiarazione, intercettazione telefonica, ogni atto che possiederebbe una sua semplice spiegazione – il desiderio di due persone qualsiasi – viene fatto risalire a oscure macchinazioni complottistiche, seguendo piste e metodi di indagine condivisi tanto dalle forze dell’ordine israeliane che palestinesi (infatti Saleem ha a che fare con entrambe).
In Sarah & Saleem il privato è sempre pubblico, e la paranoia diviene il paradigma interpretativo fondamentale (e distorcente) della realtà. Ne fanno le spese persone e relazioni umane che si spezzano per le ragioni sbagliate, in un mondo che spezzato lo è già di suo, destinato a replicare all’infinito il suo modello di impossibile convivenza.