Assunzione precari scuola, cosa farei se fossi il Ministro. Lettera

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Maria Vito – Sono la figlia di due braccianti agricoli (ormai in pensione). Mia madre mi ripeteva sempre, quando ero piccola, che io avrei dovuto studiare perchè lei non aveva potuto farlo.

L’8 marzo del 2010 ho conseguito la laurea specialistica in Lingue e Letterature straniere. Ad aprile, dello stesso anno, vengo contattata da una scuola paritaria per ricoprire il ruolo di docente.
Tutti ricordano il primo giorno di scuola… Per me, il giorno di scuola più bello, quello più importante… è stato proprio quello! Il mio primo giorno di scuola MA da docente.
Sono entrata a far parte di un mondo che ho da subito amato con tutta me stessa. I miei primi studenti erano reduci da “brutte” esperienze affrontate nella scuola statale. Per farla breve, erano stati bocciati o avevano abbandonato gli studi per questo o quel problema. Il mio obiettivo era farli innamorare della possibilità di apprendere ogni giorno qualcosa di nuovo, restituendo a me qualcosa da imparare. Andavo a prendere, addirittura a casa, due studentesse perchè la mattina facevano finta di perdere il treno.
Da allora ho partecipato a due TFA, entrambi a livello ragionale con rispettivamente 10 e 20 posti. Che amaro in bocca mi è rimasto quando su 200 ero arrivata agli orali superando tutte le prove scritte ma non superando un colloquio del quale non era stato pubblicato nè un programma da studiare, nè una griglia di valutazione.
Il mio amore per la scuola, però, continuava a crescere nonostante io non avessi “i titoli” per poter insegnare… così, facendo sacrifici, ho sempre continuato ad insegnare.
Sì, perchè per legge per insegnare serve l’abilitazione ma non serve se ci sono scuole dove mancano insegnanti così, spostandomi di soli 1300 km, l’abilitazione non mi veniva richiesta e potevo continuare ad entrare nelle classi, dove quegli occhietti mi guardavano ansiosi di sapere cosa avevo da insegnare.
Col tempo, ho imparato ad osservare di più e mi sono accorta come, dietro alla maggior parte di loro, c’erano ragazzi che più che ascoltare avrebbero voluto essere ascoltati. Ho visto come non si può fare finta di nulla quando una ragazza dimagrisce troppo velocemente, non si può fare finta di nulla quando un compagno fa una battuta sulla calcolatrice concessa al DSA.
Ho capito che quello che sapevo non bastava. Il primo marzo del 2018 ho conseguito la mia seconda laurea magistrale, questa stavolta in Psicologia clinica. (Anche in questa occasione mia madre era felice ed orgogliosa).
Quando sono stati introdotti i crediti in discipline antropo – psico – pedagogiche, da una parte sono stata felice perchè ritengo sia fondamentale per un docente comprendere quanto sia importante capire che si hanno davanti bambini, ragazzi o adulti che vanno compresi ed accompagnati nel percorso di apprendimento e non solo bacchettati o, peggio, scoraggiati. D’altra parte, ho subito visto come questi crediti non siano stati acquisiti ma “acquistati”. Perchè nonostante lo studio che potrebbe/dovrebbe esserci dietro, questi esami hanno un costo, anche molto alto.
Una delle cose che ho sempre detto a chi mi sta accanto è che i lamenti sono inutili e che le critiche devono essere costruttive.
Non dire a qualcuno che quello che ha fatto non va bene se tu non sei capace di fare meglio proponendo suggerimenti validi ed alternative.
Premesso che non è possibile fare felici tutti, più volte mi sono chiesta cosa farei se il Ministro dell’Istruzione fossi io.
A parte l’esperienza da studentessa, ho solo 7 anni di esperienza come docente, 33 anni di età e due lauree. Detto questo, ecco come cambierei io la scuola:
Partendo dalla scuola primaria ritengo un errore enorme puntare solo sulla conoscenza della pedagogia tralasciando COMPLETAMENTE la preparazione sulle materie da insegnare. Mi spiego meglio: sia nel caso del diploma magistrale ante 2001/2002 sia dopo, con la laurea, ci accorgiamo che consultando il piano didattico di qualsiasi università di Scienze della formazione primaria ( che al momento da accesso all’insegnamento nelle scuole primarie) non esistono attività formative di base di matematica o italiano o inglese che superino i 10 CFU.
Stiamo attenti ad insegnare a questi maestri a stare in classe ma si dà loro la possibilità di insegnare le BASI di italiano e matematica solo attraverso i ricordi di quello che avevano studiato dalle elementari alle superiori (o dando una rapida spolverata all’università).  SBAGLIO?
Dalla scuola secondaria, invece, è esattamente il contrario. Bisogna sapere bene cosa insegnare ma non si danno gli strumenti necessari per capire COME stare in classe.
A questo punto quello che farei io è questo.
Chi vuole insegnare alla primaria deve avere una laurea triennale in lettere, matematica o lingue PIU’ una laurea triennale in scienze pedagogiche.
Per chi vuole insegnare alla secondaria la laurea per la classe di concorso deve essere magistrale e aggiungerà i due anni della magistrale in pedagogia che si occuperà soprattutto di adolescenti ed adulti. 
Mi permetto di ricordare che alcune lauree avevano durata quadriennale e sono diventate 3+2 perchè i due dovevano essere abilitanti!
Conclusi gli studi va bene fare il concorso ma cerchiamo di farlo con criterio e facciamo in modo che già le lauree siano abilitanti in modo da poter fare supplenze nelle scuole dove c’è carenza di personale. (Adesso si può fare ma i docenti di terza fascia non sono abilitati e sono sempre precari ed in “difetto”).
La prima prova che io farei ( e qui preparatevi perchè sto per dire qualcosa che MAI è stato proposto ma che per la mia esperienza è un passo imprescindibile) è un test con colloquio psico attitudinale. E attenzione perchè questa non deve tradursi in mera formalità! Chi firma l’idoneità si assume la responsabilità di mandare in cattedra una persona che non presenta nè disturbi psicologici nè un attaccamento che può sfociare in atteggiamenti patologici.
Credo sia sotto gli occhi di tutti che sempre più spesso le scuole diventano teatro di violenze fatte o subite. Un docente che merita questo appellativo non usa violenza (nemmeno verbale) e non arriva a tramutarsi in oggetto di derisione e violenze. Un DOCENTE rispetta e sa farsi rispettare.
Troppo spesso, nel sistema di reclutamento, si è data importanza SOLO alla preparazione teorica dei docenti ma sapere la “propria materia” non basta.
Bisogna sapersi esprimere, bisogna saper catturare l’attenzione degli studenti, bisogna comprendere come l’errore sia il passaggio obbligatorio affinchè l’apprendimento possa avere luogo ed è fondamentale che il docente sia in classe perchè spinto dall’amore per la conoscenza e la voglia di trasmetterla. Stare in classe oggi è una sfida.
La sfida è quella di formare dai giovani che hanno grosse capacità e strumenti all’avanguardia ma parche motivazioni e spesso scarsa autostima.
L’ultimo tassello che reputo tanto delicato quanto importante riguarda il sostegno.  Non credo che avere l’abilitazione ad una qualsiasi classe di concorso possa bastare per vantare i requisiti necessari ad insegnare a ragazzi disabili.
Che poi, devo dirlo, fino ad ora sono confluiti sul sostegno tutti quei docenti abilitati che non riuscivano a passare di ruolo sulla propria classe di concorso così che il sostegno è divenuto, per alcuni, il RIPIEGO!
Me ne guardo da far valere queste parole per la maggioranza.
Per fortuna esiste solo una minoranza che raggiunge un 10% ma, ahimè, non avete idea di quanti danni fa questo 10%.
Esiste un 10% che viene a scuola solo per lo stipendio. Un 10% che viene deriso o criticato dagli studenti perchè non vive ma sopravvive cercando di far passare quelle “maledette” 18 ore di scuola che odiano tanto.
Ovviamente per i docenti che vogliono fare sostegno farei un percorso apposito che prevede non solo una triennale dove si studiano sia pedagogia che le materie matematiche ed umanistiche, ma anche e soprattutto, una triennale in psicologia.
Per legge si deve vincere un concorso per diventare Docente con la D maiuscola, quello di ruolo, per capirci meglio, quello che a settembre non è in preda al panico perchè non sa in quale scuola dovrà andare, o ancora peggio, se resterà a casa. Per detto concorso non riesco ad intravedere delle modalità GIUSTE e meritocratiche.
Il test a risposta multipla lo vedo come una roulette russa, credo si basi troppo sulla fortuna. La prova scritta la trovo molto più umana MA troppo soggettiva quanto il giudizio di chi dovrà correggerla.
La mia soluzione è cronologica. Chi conclude gli studi nel 2010 verrà inserito in graduatoria in quell’anno e così di seguito.
Paradossalmente stiamo assistendo alla formulazione di un concorso che rischia di agevolare i neolaureati a discapito di chi insegna da anni. (Vorrei aprire una parentesi sull’importanza dei docenti precari nella scuola ma credo sia superfluo. Il lavoro che facciamo è identico a quello dei colleghi di ruolo… Stessi doveri. Ovviamente cambiano i diritti).
Trovo ovvio che il neolaureato abbia l’intero programma studiato ancora fresco e a mente e che saprà rispondere meglio di me su parte della letteratura che io, ad esempio, non insegno da anni perchè mi occupo di microlingua. Consideriamo anche che chi sta già insegnando ha meno tempo per studiare di chi, invece, non ha ancora intrapreso un’attività lavorativa e dedica intere giornate allo studio.
Mi dispiace ma non riesco a pensare di dover cedere il passo ai neolaurati. Anche io lo sono stata ma nessuno ha fatto niente per me. Ho fatto “gavetta” e ne sono fiera.
Adesso non scartatemi solo perchè il sistema va “svecchiato”. Largo ai giovani sì… ma anche io lo sono… e con qualche anno di esperienza sulle spalle!
Non fatemi fuori. Merito anche io! 🙂

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