Venezuela: l’America Latina cerca una soluzione alla grande crisi

Paesi dell'America Latina uniti alla ricerca di una soluzione per la crisi dei migranti in Venezuela. Caracas è allo stremo: economia in picchiata, inflazione alle stelle e il presidente Maduro in grande difficoltà. Una situazione così grave oggi che le ultime notizie parlano anche di possibili interventi militari

Parola d’ordine cooperazione. Sia per continuare ad aiutare i migranti, condividendo misure, risorse e difficoltà. Sia per fare fronte unico contro il governo del Venezuela di Nicolas Maduro, ritenuto il responsabile della più grave crisi migratoria che si sia mai verificata in America Latina. Il tutto offrendo agli ormai quasi 2 milioni e mezzo di profughi venezuelani accoglienza sempre migliore e garanzie sulla tutela dei diritti.

Dopo alcune reazioni sbilenche, dettate dall’incapacità nella gestione del flusso di profughi venezuelani in fuga dalla crisi economica e sociale, i paesi dell’area sembrano sempre più uniti nell’affrontare l’emergenza. Senza chiudere le frontiere ed evitando di adottare misure restrittive all’ingresso, come accaduto in Ecuador e Perù.

E soprattutto vigilando sulla sicurezza, in modo che atti di xenofobia come quelli registrati in Brasile, sempre ad agosto, non si ripetano.

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Manifestazione a Caracas, Venezuela

Se quello che prevale è dunque il messaggio di pace, non mancano le minacce di guerra. Un intervento militare in Venezuela per rovesciare il governo di Nicolas Maduro, usato come spauracchio a più riprese: dalla Casa bianca e, più recentemente, dall’Organizzazione degli stati americani (Osa).

Crisi Venezuela: quasi 2,5 milioni i venezuelani in fuga

È un dossier estremamente complesso a livello umanitario e politico quello in cui i paesi dell’America Latina sono chiamati a far fronte. Un momento che l’Alto commissarioto Onu per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) hanno definito «tanto critico da far sembrare l’emergenza venezuelana sempre più simile a quella del Mediterraneo».

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newsletter osservatorio dirittiSecondo Unhcr e Oim, oltre 2,3 milioni di venezuelani hanno lasciato il proprio paese. E il 90% è rimasto in Sud America. L’esodo è iniziato nel 2013, quando la crisi economica, e le misure adottate da un governo sempre più screditato in patria e all’estero, hanno iniziato a produrre povertà e disagio.

Venezuela: economia in picchiata, inflazione alle stelle

In cinque anni il Venezuela ha perso il 40% del suo Pil e, a fine anno, l’inflazione raggiungerà quota 1 milione per cento. Queste cifre si sono tradotte in una progressiva mancanza di prodotti alimentari, farmaci e miseria. Tanto da spingere il 7% dei venezuelani ad andarsene.

Oltre 1 milione di venezuelani è emigrato in Colombia: quasi tutti sono regolari. L’Ecuador ha dichiarato lo stato di emergenza di fronte al numero crescente di immigrati venezuelani che entrano nel paese: dall’inizio del 2018 ben 560 mila. Di questi, l’80% attraversa il paese in direzione di Perù e Cile, destinazioni finali per tanti.

In Perù sono presenti 430 mila venezuelani, in maggioranza in possesso del Permesso temporaneo di soggiorno (Ptp), che consente loro di lavorare e accedere ai servizi sociali e sanitari.

La situazione dei venezuelani oggi in Brasile

In Brasile, dalla frontiera amazzonica sono entrati in tutto 128 mila venezuelani, secondo i dati del comitato federale di assistenza emergenziale. Circa 68 mila sono rimasti nello Stato di Roraima, dove ormai il livello dei servizi pubblici si trova in una situazione critica.

Da alcune settimane il governo ha iniziato a riportare i migranti in altri Stati e città per offrire una migliore accoglienza e alleggerire la tensione in Roraima. Nella città di Paracaima, infatti, sono ancora vivissime le immagini di violenza contro i venezuelani da parte di brasiliani che hanno dato alle fiamme gli accampamenti di fortuna e cercato di allontanare i venezuelani, spingendoli fisicamente dall’altro lato della frontiera.

L’America Latina si riunisce nella capitale dell’Ecuador

Sia i tentativi di chiusura di Ecuador e Perù – che da agosto hanno iniziato a richiedere il passaporto ai venezuelani intenzionati ad entrare nel paese (prima era sufficiente la carta d’identità) – sia le proteste xenofobe in Brasile, hanno rappresentano il punto di non ritorno della situazione, facendo di fatto aprire a una serie di iniziative su base regionale.

A inizio settembre Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico, Panama, Paraguay, Perù e Uruguay hanno firmato nella capitale ecuadoriana, Quito, una dichiarazione per rafforzare e migliorare le politiche di accoglienza per i migranti venezuelani, impegnandosi «ad accettare documenti di viaggio scaduti come documenti di identità validi per i cittadini venezuelani», per facilitare la libertà di movimento, e hanno sollecitato Caracas a prendere le «misure necessarie per fornire tempestivamente documenti di identità e di viaggio ai propri cittadini», evitando così «limitazioni alla libera circolazione e alla mobilità».

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Quito, Ecuador

Il ruolo della Colombia nella crisi di Caracas

Ruolo chiave nella complessa partita è quello giocato dalla Colombia, che sin dall’inizio della crisi ha assunto una posizione di leadership, grazie alla capacità mostrata nella gestione dell’accoglienza e dalla posizione in linea con l’Onu e le più importanti ong che difendono i diritti umani. È stato infatti il ministro degli Esteri colombiano, Carlos Holmes Trujillo, a volare a Bruxelles per discutere della crisi migratoria venezuelana con l’Alto rappresentante delle politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, con il presidente del Comitato internazionale della Croce rossa, Peter Maurer, con l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, e con l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, chiedendo l’appoggio della comunità internazionale e dell’Europa per fare fronte all’emergenza a livello nazionale e regionale.

L’intervento dell’Organizzazione degli stati americani

Non è un caso che proprio in Colombia sia iniziata, lo scorso 13 settembre, la missione del Gruppo di lavoro sulla migrazione venezuelana dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), nato con due obiettivi principali: elaborare un rapporto sulla migrazione dei venezuelani e raccogliere fondi per la gestione del fenomeno.

Il piano d’azione proposto da Almagro prevede la creazione di “spazi di coordinamento” su diversi punti, a partire dalla necessità di rendere omogenei i requisiti per accogliere i migranti nei vari paesi. Il segretario generale ha anche sollecitato gli stati coinvolti a varare piani di assistenza scolastica per i minori in uscita dal paese e di adeguata assistenza sanitaria per tutti i migranti.

Human Rights Watch e Amnesty International

Un appello alla difesa dei più vulnerabili era arrivato forte da parte di Human Right Watch. Nel rapporto l’ong ha suggerito infatti di adottare un piano di protezione temporanea uniforme per garantire sicurezza e status legale ai venezuelani in cerca di protezione internazionale.

@2017 César Munoz Acebes / Human Rights Watch

Il rapporto segue l’appello lanciato da Amnesty International in una lettera aperta inviata ai paesi della regione, in cui si chiede di assumersi le proprie responsabilità e garantire il rispetto dei diritti umani per tutte le persone in fuga dal Venezuela.

«Milioni di persone sono state costrette a lasciarsi tutto alle spalle e camminare per giorni e giorni per sfuggire a gravi violazioni dei diritti umani in Venezuela, inclusi arresti arbitrari, esecuzioni extragiudiziali, torture e violazioni dei loro diritti al cibo e alla salute», ha detto Erika Guevara-Rosas, direttore per le Americhe di Amnesty International. «I paesi limitrofi devono mostrare solidarietà e impegnarsi a proteggere il popolo venezuelano».

Ultime notizie dal Venezuela: minacce contro Maduro

Con la nomina di Eduardo Stein, ex vicepresidente ed ex ministro degli Esteri del Guatemala, come rappresentante speciale congiunto proprio di Unhcr e Oim, si fa un passo in più nel riconoscimento dell’impatto regionale della crisi migratoria venezuelana. Mentre si lavora a livello diplomatico, con anche il Consiglio dei diritti umani dell’Onu chiamato in causa con la proposta di risoluzione sulla situazione dei diritti umani, delle libertà fondamentali e su presunti abusi commessi in Venezuela, sulla crisi si allunga un’ulteriore ombra. Quella dell’intervento militare contro il governo Maduro.

L’ultimo in ordine di tempo ad agitare lo spauracchio è stato il segretario generale dell’Osa, Luis Almagro, secondo il quale l’uscita diplomatica dalla crisi rimane la via preferenziale, ma non possono escludersi altre soluzioni. Un’affermazione, poi corretta da Almagro che ha comunque generato una forte reazione della Colombia e dei paesi del gruppo di Lima che hanno espresso «preoccupazione e rifiuto dinanzi a qualsiasi sviluppo di azione o dichiarazione che comporti un intervento militare o l’esercizio della violenza, la minaccia o l’uso della forza in Venezuela». Per uscire dalla «grave crisi politica, economica, sociale e umanitaria che attraversa il paese, occorre battere la strada negoziale».

La discussione su un intervento militare in Venezuela non è nuova. Secondo un’inchiesta giornalistica statunitense rilanciata dalla Cnn, nell’agosto del 2017 il presidente Usa, Donald Trump, avrebbe parlato della possibilità di invadere il Venezuela nel corso di un incontro tenuto nello Studio ovale per discutere delle sanzioni contro Caracas alla presenza di diversi importanti consiglieri di politica estera. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale H.R. McMaster e l’allora segretario di Stato, Rex Tillerson, lo convinsero a cambiare idea.

Cartina del Venezuela (capitale Caracas)

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5 Commenti
  1. Giovanni dice

    Stiamo parlando di un mostro che sta facendo morire di fame e di malattia milioni di persone in un paese ridotto alla fame per colpa sua e per i suoi accoliti torturatori e narcotrafricanti. Altro che Gheddafi… o Saddam ..chi non conosce la situazione venezuelana come è veramente parla a vanvera. Io, avendo familiari in Venezuela,ricevo continuamente video e notizie non riportate dai notiziari da far drizzare i capelli. Mi auguro con tutto il cuore che questo regime venga spazzato via al più presto con qualsiasi mezzo. Gli aiuti umanitari non riescono a passare, il popolo continua a morire..e a questo punto le parole e le diplomazie non servono più….

  2. Giorgio rovetti dice

    Io credo che il paragone co Gheddafi non sia azzeccato infatti in Libia a suo tempo non si viveva male ma in Venezuela si è alla fame credo che sarebbe ora di cambiare

  3. Mauro dice

    A me Maduro non è simpatico, ma guardando anche Gheddafi e Saddam Hussein, bisogna riconoscere che quando questi “sovrani” cadono, il disastro si accresce (anziché diminuire) per i loro stati come per i loro popoli, che infatti cominciano a migrare in massa. E’ triste, ma è meglio che quei personaggi restino a loro posto di comando assoluto.

  4. daria dice

    Siccome in Venezuela c’è la crisi economica per il crollo del prezzo del petrolio, i venezuelani sono autorizzati ad entrare di prepotenza negli altri paesi?

    1. Redazione dice

      Gentile Daria, grazie per aver condiviso con noi la sua opinione! Può segnalarci dove ha letto che i venezuelani starebbero entrando “di prepotenza” negli altri Paesi? Ci sarebbe molto utile saperlo. Come avrà letto in questo articolo, infatti, gli altri Paesi non parlano di “prepotenza” da parte dei venezuelani che stanno fuggendo per varie ragioni, ma, piuttosto, si stanno coordinando per dare un’accoglienza dignitosa a queste persone e rispondere insieme alla situazione. Grazie ancora

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