Ti informi sui social? Per gli studiosi sei imbecille. Ma...

Gli italiani non sarebbero in grado di leggere e capire e di riconoscere fake news. Ma è così?

Sembra una scusa per giustificare la crescita esponenziale dell'estrema destra e mettere da parte cause molto più profonde che sono solo state amplificate dai social...

 

 

di Luciano Trapanese

Si accavallano studi su studi che ci definiscono imbecilli. Non bastavano quelli sull'analfabetismo di ritorno: il 60 per cento degli italiani non capirebbe niente – o quasi - di quello che legge, soprattutto se si articola un pensiero un po' più lungo di uno slogan. Ora arriva anche l'analisi della Suor Orsola Benincasa. Che offre però dati che si contraddicono: l'80 per cento degli italiani si informa sui social (indubitabile), di questi, però, l'87 per cento non si fida della veridicità delle notizie postate (e magari fa bene), eppure – conclude lo studio, senza chiarire -, l'82 per cento non riesce a capire se si trova di fronte a una news vera o a una bufala (ma se non si fida!). Non solo, il 77,3 per cento ritiene che le fake news non siano pericolose per la democrazia. In pratica: gli italiani non credono nei social, ma non sono neppure in grado di capire se leggono post reali o inventati. Un bel bordello. Che porta gli studiosi a una conclusione spericolata: oggi l'italiano medio è un cretino, non ha strumenti cognitivi e culturali per capire cosa legge e se quello che legge è vero, e l'unica speranza risiede nelle nuove generazioni. O meglio, che le nuove generazioni crescano con gli anticorpi necessari per spulciare senza pericolo tra l'immondizia che circola sul web.

Che ci sia un problema di fake news è evidente. Basta fare un giro sui social. Che Facebook non sia in grado di arginarne la diffusione è altrettanto vero, e per stessa ammissione del gigante di Menlo Park. Ma da qui a stabilire, con certezze e numeri da brivido, che la quasi totalità degli italiani in rete (l'80 per cento!), sia affetto da cretinismo, un po' ce ne corre. E sarebbe molto più che inquietante. Anche perché, sia Salvini sia Di Maio, misurano spesso gli umori della gente sui social per indirizzare la loro azione di governo. In pratica si fiderebbero delle opinioni espresse da un popolo di imbecilli. Decidendo di conseguenza, da imbecilli.

Che un buon numero di italiani sia “indifeso” rispetto al proliferare di propaganda becera sul web, è cosa nota. Che ci sia chi scientificamente alimenta la diffusione di bufale per fini politici è accertato (negli Usa l'inchiesta dell'Fbi sulle elezioni di Trump rischia di aprire uno squarcio impressionante, basterà aspettare qualche mese secondo molti media americani, non schierati). Ma da qui a stabilire con inscalfibile sicurezza, l'imbecillità di chi si informa sui social, beh, sembra un'imprudenza. Puzza un po' di scusa. Come dire che il cosiddetto populismo divampi in tutto l'occidente perché la gente si informa sui social spazzatura. Mettendo in un angolo piccolo piccolo le ragioni profonde che hanno causato e amplificato il disagio. Distrutto la fiducia nella politica tradizionale. E concesso spazi e credibilità a chi – sulla base di quel fallimento – ha imposto una nuova narrativa. Che in Italia si basa sulla paura (Lega), e sulla speranza di riscatto (5Stelle). Il web potrebbe aver facilitato la diffusione di quei messaggi (anche con l'utilizzo di fake), ma solo perché ha trovato terreno fertile. E non perché – come si vuole far intendere – siamo tutti solo e soltanto degli imbecilli.

Del resto, un altro studio (tutto da verificare), ha rilevato che negli ultimi anni l'italiano medio avrebbe perso dieci punti di intelligenza (rispetto ai soliti test). Quando eravamo piccoli le generazioni precedenti ritenevano che noi eravamo più intelligenti (si sbagliavano: eravamo solo più informati), ora c'è la corsa a ritenere tutti più cretini (sempre gli altri, però). E il tutto per giustificare l'ondata di estrema destra che rischia di travolgere il nostro mondo. Una analisi che avrebbero dovuto utilizzare anche – evidentemente – tra gli anni '20 e '30, quando fascismo e nazismo hanno infettato l'intera Europa. Ma all'epoca non c'erano i social. E tutti sapevano, invece, che le ragioni erano altre, in fondo le stesse di oggi: una gravissima crisi economica (il crollo del '29), la divaricazione sociale, le pietose condizioni del proletariato (alimentate anche dagli effetti postumi della rivoluzione industriale – come quella digitale?), le difficoltà della borghesia, il pantano dell'allora classe politica, corrotta o distante dalla realtà.

Nessuno disse che gli europei erano diventati tutti cretini. Non bastò neppure quella consapevolezza per evitare il disastro. Ora nascondiamoci pure dietro i social...