Dall'Irpinia al Dombass a combattere per Putin

Un giovane di Chiusano agli arresti. Ma non sarebbe il solo mercenario irpino.

Sul fronte Russo – Ucraino anche altri giovani della provincia di Avellino. Sui social le loro foto in uniforme dietro bandiere russe e scritte in cirillico. La rete dei reclutatori. I rapporti tra Mosca e l'estrema destra italiana. E non solo...

 

 

di Luciano Trapanese

Dall'Irpinia al Donbass per combattere al fianco dei filo russi, nel nome di Putin, in una guerra brutale, che insanguina il cuore dell'Europa, e sulla quale è calato da tempo un silenzio colpevole.

Mercenari, per soldi o convinzioni politiche. Spesso legati a gruppi neo fascisti o vicini alla Lega di Salvini. In quella variegata galassia di estrema destra, che preferisce la Russia all'Ue. Mosca a Bruxelles.

Antonio Cataldo, 33 anni, ex militare dell'esercito, originario di Chiusano San Domenico, e un passato da mercenario anche in Libia, dove è stato fatto prigioniero, non è il solo. Dalla provincia di Avellino ce ne sarebbero almeno altri quattro. Qualche nome potrebbe essere finito nell'inchiesta ligure. Sui social si possono vedere le loro foto in uniforme, sullo sfondo il teatro di guerra e spesso la bandiera russa con messaggi in cirillico.

 

Lo squarcio aperto dall'indagine della dda genovese e dai carabinieri del Ros, su questa costellazione di combattenti italiani pro Putin, non sorprende. La loro presenza era stata più volte segnalata. In una puntata di alcuni anni fa, gli inviati del programma televisivo Le Iene, intervistarono sul fronte molti di loro. E c'era anche Cataldo (che per gli inquirenti avrebbe anche avuto un ruolo attivo nel reclutamento di altri mercenari).

In quell'intervista Cataldo sostenne – parlando dell'esperienza in Libia - di essere caduto insieme ai colleghi nella trappola di un finto poliziotto: vennero rapiti e venduti a uomini armati che a loro volta li consegnarono alle truppe del colonnello Gheddafi. Cataldo raccontò di una prigionia durissima, segnata da torture e sevizie. I tre (con lui c'erano anche Luca Boero, 42 anni, di Genova e Vittorio Carella, 42 anni, di Peschiera Borromeo, in provincia di Milano), vennero legati e bendati. «Brutto, brutto – raccontò Antonio - ci hanno messo in una stanza, poi ci hanno chiamati uno alla volta in un’altra camera. Ridendo, ci dicevano “no problem, no problem”. Mi hanno levato tutta la roba che avevo addosso, mi hanno tolto le scarpe, mi hanno legato, mi hanno bendato. Noi pensavamo che ci sparavano, che ci ammazzavano». Poi è tornato in Italia, prima di partire per il fronte ucraino.

 

Un anno fa in una inchiesta de L'Espresso, si parlava in modo esplicito dei contatti sempre più frequenti tra le milizie filo russe che combattono nel Donbass e gruppi di italiani pro Putin sparsi sul territorio.

Nell'indagine ligure, denominata “Ottantotto”, numero simbolo dei neo nazisti, sono in tutto quindici gli indagati. Tre persone destinatarie dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere sono ancora irreperibili: Andrea Palmieri, Gabriele Carugati e Massimiliano Cavalleri, potrebbero trovarsi ancora al confine tra Russia e Ucraina, sul fronte.

Gli inquirenti hanno ipotizzato nei confronti degli indagati, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere finalizzata al reclutamento e al finanziamento di mercenari combattenti al fianco di milizie filorusse, reclutamento e istruzione dei mercenari e attività di partecipazione al conflitto, fatti aggravati dalla transnazionalità dei reati.

In carcere sono finiti Antonio Cataldo, Olsi Krutani e Vladmir Verbitchii.

Tra gli indagati figurano esponenti di gruppi ultrà, un ex militare dell’Esercito ma anche soggetti di opposta estrazione ideologica accomunati da una posizione eurasiatica che si oppone all’atlantismo e ai valori liberali propugnati dall’imperialismo americano.

Non sorprende – come detto - la vicinanza tra l'estrema destra e Putin. Anche se fa a pugni con quanto ha sempre sostenuto la propaganda di Mosca contro il governo ucraino, accusato di essere, appunto, “nazista”. Ma, nella propaganda, di qualsiasi sponda, la coerenza non è mai stata richiesta.

L'inchiesta ligure avrebbe accertato la presenza in Italia di una estesa rete finalizzata al reclutamento di giovani che dopo una breve permanenza in Russia verrebbero inviati sul fronte al fianco delle milizie e contro l'esercito ucraino. Una rete che si sviluppa soprattutto sul web, ma che – naturalmente – conta anche su strutture fisiche, legate, come sarebbe stato dimostrato, a gruppi di estrema destra e onlus vicine alla Lega. Un puzzle comunque molto intricato che andrebbe a collegare direttamente la Russia ai movimenti neo fascisti italiani.

L'indagine della dda genovese è partita per caso. Da una serie di scritte filo naziste. Da lì si è poi arrivati a individuare l'organizzazione che reclutava combattenti per il Donbass. C'erano anche state le interviste televisive, rilasciate sia da Andrea Palmieri (che manifestava le sue simpatie per i separatisti), sia dall'irpino Antonio Caltaldo, mercenario tout court, impegnato in diversi fronti di guerra e più che interessato alle ragioni dei filo russi (nei confronti dei quali ha comunque manifestato la sua simpatia), attento all'aspetto economico della sua attività “professionale”.