Bambini usati come foderi: interviene la sociologa Russo

Il codice d'onore della camorra un tempo non permetteva tutto questo

La tesi della sociologa irpina Mercedes Russo sull'uso dei bambini come foderi nell'ambito della criminalità organizzata...

Ariano Irpino.  

di Gianni Vigoroso

Bambini usati come foderi, nelle carceri e in altri ambienti. Un fenomeno allarmante e purtroppo in crescita che non risparmia l'Irpinia.

Smartphone fatti entrare in carcere grazie a dei bambini. Insospettabili corrieri, spesso inconsapevoli. E' accaduto ad Ariano Ipino solo pochi giorni fa. Gli agenti penitenziari hanno trovato, nei pantaloncini di un bambino, un involucro che conteneva due cellulari. Il ragazzino era stato accompagnato da un familiare per parlare con il padre, detenuto napoletano

E' del lontano anno 2008 la tesi della sociologa irpina Mercedes Russo sull'uso dei bambini come foderi nell'ambito della criminalità organizzata.

"C’è stato un tempo in cui il “codice d’onore” della camorra campana prevedeva che donne e bambini fossero intoccabili.

Un tempo in cui i “piccoli” erano solo “piezzi ‘e core” e, secondo la spietata logica dei boss, andavano tutelati prima di ogni altra cosa. C’è stato un tempo in cui interi commando di killer si fermavano nel bel mezzo di una missione di morte pur di evitare di coinvolgere nel loro raid un minorenne che si trovasse sulla linea di tiro. Non sono questi quei tempi. Le leggi della criminalità organizzata sono profondamente mutate. Le influenze di mafia, cartelli stranieri, altre organizzazioni italiane, i mutamenti abissali dello stesso tessuto sociale e quelli fondamentali dei grandi business illeciti internazionali hanno provocato un sovvertimento totale nel rapporto fra minori e camorra. Una volta, al massimo, un ragazzino poteva essere “usato” come “fodero” per nascondere su di sé l’arma di un camorrista in fuga da una perquisizione, o come portatore di “imbasciate” (ordini o messaggi più o meno in codice).

Questo, invece, è il tempo in cui i clan più spietati reclutano killer minorenni, in cui i boss educano i propri figli ed i propri nipoti alle regole del comando per lasciare loro in eredità la guida della “famiglia”, in cui, addirittura, sorgono interi gruppi di baby-criminali convinti di poter guadagnare potere e facili introiti col traffico di droga o imponendo il pizzo, spesso pagando, poi, duramente il loro peccato di “hybris”, e vedendo punire col sangue la presunzione di aver osato pensare di poter sottrarre spazi ed entrate alle organizzazioni storiche. È questo il tempo in cui il ruolo di un certo numero di minorenni in alcuni clan è diventato così radicato, “naturale” e profondo da aver costretto perfino ad una differente gestione degli istituti di pena (o centri di prima accoglienza) minorili, con l’esigenza inderogabile di tener rigorosamente divisi i giovanissimi esponenti legati o contigui a diverse organizzazioni criminali per evitare pestaggi, aggressioni o peggio.Un’evoluzione mostruosa e aberrante perfino rispetto alla vecchia e “tradizionale” figura dei “muschilli” che, un tempo, correvano in calzoni corti tra i vicoli trasportando dosi di stupefacenti, certi di sfuggire a posti di blocco e arresti, e che oggi appare quasi folkloristica rispetto agli scenari attuali. Ma il reclutamento dei minorenni nei clan camorristici prevede spesso, per chi mostri attitudine e “talento”, un veloce avanzamento di carriera.

E le cancellerie dei Tribunali per i minori traboccano di faldoni su giovanissimi passati in fretta a fare da esattori del pizzo, da corrieri di ingenti quantitativi di droga o, addirittura, arrivati ad impugnare le armi per spedizioni punitive o omicidi commissionati dai clan."