Il clan Partenio è morto, ma non per tutti...

Continua a essere citato in recenti inchieste. Ma per il gip di Napoli «è una realtà immaginaria»

L'ultima sentenza contro i Genovese risale al 2007. Poi più nulla. Ma per gli inquirenti il clan c'è ancora. Sarebbe ora di voltare pagina e consegnare il gruppo del Partenio alla storia criminale della provincia di Avellino.

di Luciano Trapanese

Il clan è morto e sepolto. Ma continua a essere citato in tante nuove inchieste giudiziarie. La cosca fantasma, che ha imperversato in Irpinia a cavallo tra la fine e l'inizio del nuovo millennio, è quella che fa riferimento ai cugini Genovese, passato alla cronaca come il clan Partenio (estendeva il suo potere da Montevergine al Terminio). Era feroce, sanguinario, diffuso. Si è macchiato di una decina di omicidi, continue estorsioni, attentati, minacce, pestaggi, traffico internazionale di droga. Sono passati 16 anni da quando una operazione congiunta di carabinieri e polizia ha messo in cella tutti gli affiliati. Sono state lette sentenze di condanna. Raccolte innumerevoli deposizioni dei molti pentiti. Ricostruiti i traffici e i delitti, gli interessi e le infiltrazioni. Da tempo non si hanno notizie su nuove attività legate a quel gruppo (almeno dal 2007). Eppure la banda dei Genovese continua a comparire in decine di inchieste. Si legge spesso di «personaggi vicini al clan». Nella mappa regionale della camorra, preparata ogni anno dalla direzione antimafia, si continua a citare il gruppo criminale dei cugini di Summonte. Ma quella cosca – come detto - non c'è più. Fa ormai parte della storia criminale della provincia di Avellino. Insieme ai cugini Amedeo e Modestino.

Una pietra tombale sui Genovese è stata scritta qualche giorno fa, dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, Maurizio Conte, in calce a una ordinanza di custodia cautelare a carico di indagati per reati di usura (che ha portato all'arresto di Diego Bocciero, Elpidio Galluccio, Sabato Ferrante, Alessio e Antonio Romagnuolo). Alcuni di loro – molti anni fa – avrebbero avuto un ruolo (mai accertato), come presunti affiliati o fiancheggiatori della banda dei cugini Genovese.

Il magistrato ha rigettato per gli indaganti l'aggravante dell'articolo 7, quella prevista per aver agevolato una associazione mafiosa, in questo caso il clan Partenio.

Per il giudice l'esistenza del gruppo criminale non è dimostrata, ma solo supposta «ed è impensabile un aggravamento della pena per aver favorito una entità solo immaginaria». Già, ha scritto proprio così: il clan Genovese è una «entità immaginaria». Una favoletta criminale.

Per dimostrare l'esistenza del clan, gli inquirenti hanno segnalato nella richiesta al Gip una sentenza emessa dai giudici del tribunale di Avellino il 23 novembre di quindici anni fa a carico di Modestino Genovese e altre sedici persone. In quella sentenza si attesta l'esistenza del gruppo camorristico. «Per attualizzare l'esistenza del clan», scrive ancora il gip, il piemme cita «non meglio precisate acquisizioni investigative e alcune sentenze riferite ad attività estorsive nei confronti di imprenditori locali che risalgono al 2007». Sentenze nelle quali a tre imputati viene riconosciuta la modalità mafiosa per favorire il clan Cava, all'epoca presente nell'avellinese e alleato ai Genovese. Il gip aggiunge: «Non si rinvengono riferimenti a vicende più recenti». E continua: «Il collegamento investigativo sarebbe, se ben compreso, data la genericità degli elementi evidenziati, costituito dal fatto che gli indagati sono considerati affiliati al clan, anche se non sono mai stati imputati o condannati per il reato associativo. E non si comprende sulla base di quali rapporti o interessi criminali ed economici gli indagati sarebbero espressione del clan».

Gli inquirenti hanno anche ipotizzato che l'attività usuraia venisse svolta per conto del clan Genovese. «Ipotesi investigativa – obietta il giudice – basata su elementi di incerta interpretazione (vaghi commenti percepiti in ambientale), e priva allo stato di adeguati riscontri».

Un clan che non c'è, dunque. Ma che appare ovunque. I capi sono in cella, alcuni elementi di primo piano sono morti, altri sono pentiti. Non c'è stato nessuna cambio al vertice e soprattutto negli ultimi undici anni non si registrano vicende direttamente legate alla cosca.

Sarebbe il caso di mettere la parola fine. Voltare e pagina e ridefinire un quadro nuovo della criminalità che opera nell'avellinese.

Ma del resto, sempre in Irpinia, sono dovuti trascorrere molti anni prima di dichiarare estinto il clan Meriani, attivo fino all'inizio degli anni '90 nel Montorese. Qualche anno fa, nella solita mappa criminale della regione, continuava ad essere citato. Proprio come accade ora al clan dei Genovese.