Gomorra addio, viaggio nell'altra Scampìa

Con le Vele sparisce un simbolo di emarginazione. Ma il quartiere è anche altro, non è un brand

E’ voglia di riscatto dopo gli anni dell’assedio camorristico. Tante associazioni, colori, speranze (la foto è di Antonella Cappuccio)

La data ancora non si conosce, ma sappiamo che entro il 2018 la prima delle Vele di Scampia, la cosiddetta “torre”, sarà demolita. Che cosa rende diverso, quasi epocale questo abbattimento? Non si tratta solo di un mostro di cemento, uno dei tanti prodotti dell’architettura ideologica e poco inclusiva degli anni settanta. Stavolta i bulldozer porteranno via un pezzo di storia sociale di Napoli, che poi è un pezzo di storia del sud. Di quella storia sono tanti i protagonisti e non hanno il volto di Ciro l’immortale o di Genny Savastano. Hanno il volto di Franco, Lorenzo, Omero, Barbara, Gianluca, Davide e tanti, tantissimi altri che da anni tentano di far uscire Scampia dal suo isolamento e di trasformarla da quartiere simbolo di emarginazione e criminalità a un insieme urbanistico con dignità e valore, riportando al centro lo sviluppo delle relazioni sociali e culturali. E’ un lungo processo al contrario, faticoso come risalire la corrente, per riportare Scampia dentro Napoli.

Quando non c’è alternativa

Il quartiere si è sviluppato dopo il terremoto dell’Irpinia negli anni ottanta, quando si decise di spostare gli sfollati nel nord della città. Provenivano da Forcella o dai Quartieri Spagnoli ed appartenevano a quel sottoproletariato urbano che per primo ha ceduto sotto i colpi della crisi industriale e la disoccupazione. In questo luogo in cui lo Stato non era visibile - perché proprio fisicamente assente - la camorra per decenni si è offerta agli occhi della gente come l’unica alternativa di reddito o di tutela sociale. Intere generazioni di ragazzi qui hanno abbandonato la scuola e sono diventati manovali dei clan. “Le mafie hanno più paura di una scuola che di un giudice” disse Antonino Caponnetto, il magistrato. E a Scampia spesso gli insegnanti la mattina entravano nelle classi quasi vuote. Il dominio militare e i traffici di droga hanno modificato profondamente anche il modo di abitare di chi ha vissuto qui. Fino al 2006 si racconta che gli spacciatori avevano le chiavi dei condomini e per rientrare a casa bisognava chiedere il permesso a loro. Il sistema aveva sequestrato le Vele e le vite che c’erano dentro. Il sistema li proteggeva mentre li divorava dall’interno.

Tutto ci sembrava normale

“Quando ero piccolo e scendevamo giù, sotto casa, ricordo che per noi era normale vedere i ragazzi che spacciavano – racconta Rosario Caldore –. Tutto ci sembrava normale, la droga, le armi, il coprifuoco. Io mi ritengo fortunato semplicemente perché non ho fatto il carcere, ma ciò non significa che mi sia salvato o che non appartengo a tutto questo. La mia famiglia mi ha aiutato a stare lontano da certi guai ma diciamoci la verità, in una situazione come quella, non c’è educazione familiare che tenga, se vuoi farlo lo fai ed è relativamente facile”. Era il periodo in cui a Scampia c’erano 25 piazze di spaccio. I cancelli delimitavano gli spazi esterni e interni dell’esistenza di centinaia di famiglie e di tanti bambini che venivano allevati nella paura e nel rispetto di regole non scritte. A quei bambini si offrira l’occasione fin da subito di guadagnare tanti soldi.

Le poesie crude di Davide

Come Davide Cerullo che a 14 anni intascava già 900mila lire al giorno gestendo una delle piazze. Un turno unico dalle 8 fino a mezzanotte e poi la serata si concludeva in giro sulla moto, nelle discoteche, droga e regali alle fidanzate. Quando lo beccarono per la prima volta chiese ai poliziotti di farsi mettere le manette per farsi vedere da tutti perché lo considerassero “uno buono”. Il poliziotto gli disse no, non ti ammanetto, perché per me tu non sei nessuno. Una lezione che non bastò in quel momento al giovane Davide: allora ambiva solo a una pacca sulla spalla dal boss, Antonio Leonardi (oggi collaboratore di giustizia). Molti anni dopo, in carcere, Davide ha trovato la molla per riscattarsi. E oggi scrive “poesie crude”, si occupa dei ragazzi del quartiere, ed è uno dei protagonisti del cambiamento di Scampia.

Non solo pallottole, anche l’amianto

Ma non c’era solo lo spaccio, e la camorra. “A Scampia se non ti uccideva la droga o un colpo d’arma da fuoco, ti uccideva l’amianto – racconta Emanuele -. Io ho spacciato, mi sono fatto il carcere, e per tutta l’infanzia ho segnato i gol delle partite di calcetto sotto il portone con i gessetti di cemento -amianto. Le vele si sbriciolavano nei nostri polmoni e nessuno lo sapeva. Qui c’è una percentuale altissima di malati di cancro oggi, e nessuno ne parla”. Emanuele Marigliono lo abbiamo incontrato nel Cantiere 167, uno dei centri sociali nati a Scampia negli ultimi anni. Il Cantiere è speciale, perché qui è maturata l’esperienza del Comitato Vele con Omero Benfenati, Lorenzo Liparulo e tanti altri. A un certo punto hanno capito che per uscire da quell’alveare di cemento e conquistare una casa vera bisognava lottare, mettersi insieme. Pratiche di resistenza dal basso. Una costante nella Napoli dell’ultimo ventennio. Esperienze di partecipazione che dal centro storico alle periferie hanno portato alla creazione di luoghi “liberati” che raccolgono ormai migliaia di persone. Con loro Luigi De Magistris ha deciso, a un certo punto, di dialogare, e in modo lungimirante e strategico ne ha fatto un punto di forza della sua proposta politica su Napoli. Per il progetto di rigenerazione urbana di Scampia i centri socio culturali nati nel quartiere sono riusciti a far sentire la loro voce.

Contro la camorra e contro lo Stato

Queste persone hanno combattuto e continuano a farlo su due fronti. Da una parte la camorra, che ti include anche se non vuoi. Dall’altra lo Stato, che ti esclude con la sua sfiancante incapacità di pianificazione e gestione dei fondi pubblici destinati alle politiche abitative. Un’ incapacità che produce la negazione sistematica dei diritti. “Io sono uno dei tanti abusivi che abitano nelle Vele – dice Lorenzo Liparulo – ho dovuto occupare un alloggio dopo che ho perso il posto di lavoro. All’inizio ci volevano mandare via senza alternative, abbandonati al nostro destino, per noi nessuna graduatoria. Abbiamo protestato. Nelle Vele, dei residenti aventi diritto ne erano rimasti pochi. Negli anni sono state occupate dai disperati senza casa perché il problema dell’emergenza abitativa a Napoli è reale. Oggi abbiamo anche noi una graduatoria”. Quaranta famiglie si trasferiscono dopo anni di attesa nei nuovi alloggi realizzati in via Gobetti. Le altre saranno trasferite nella Vela Celeste che secondo i piani sarà riqualificata e non abbattuta. Rientrano nella graduatoria quelli che pur non avendo diritto, perché occupanti abusivi, sono entrati nel censimento del 31 dicembre 2015. Ma il percorso amministrativo è pieno di ostacoli. C’è un problema di carichi pendenti e casellari giudiziari. Per ottenere una casa infatti l’assegnatario non può aver subìto condanne per associazione camorristica. “Ci rendiamo conto che questo significa negare quasi a tutti il diritto alla casa? In questo quartiere due persone su tre hanno avuto problemi con la giustizia in maniera diretta o indiretta – aggiunge Omero Benfenati – Ma immagina cosa vuol dire per una donna anziana di 72 anni vedersi negare la casa perché il figlio o il marito sono stati condannati per qualche reato?”. Lo stop pare che sia stato superato negli ultimi tempi. Sempre grazie al lavoro costante di pressione esercitato dal comitato che si è fatto portavoce delle istanze di queste famiglie che rischiavano di restare fuori. Fuori da tutto. La Vela Celeste resterà in piedi, come un simbolo, un perenne ammonimento. Sarà riqualificata e resa agibile, e alla fine di questo processo diventerà la sede della municipalità. Tra qualche tempo dunque non molto lontano potremo dire che quelle immagini che hanno ispirato Gomorra appartengono al passato. Dopo la faida, la gente qui ha vissuto a lungo in uno stato di polizia. E man mano che la camorra spostava altrove i suoi interessi si è fatta strada faticosamente una straordinaria voglia di riscatto. Se non fosse per le “Vele”, Scampia oggi sarebbe una periferia come le altre.

Scampia, come un brand

L’immagine negativa di questo quartiere è diventata un brand: ci guadagnano tutti, tranne la comunità. Scampia non si può ancora definire un luogo completamente bonificato, ma sicuramente la qualità della vita è migliorata. E questo soprattutto grazie alle 120 associazioni attive su un territorio di quarantamila abitanti. Cinquanta spazi pubblici “recuperati”: orti urbani e parchi autogestiti come quello intitolato a Melissa Bassi (la ragazzina uccisa il 19 maggio 2012 da una bomba in una scuola di Brindisi) o ancora il centro Mammut nella piazza intitolata a Giovanni Paolo II, dove si lavora con giovani e immigrati. C’è la palestra di Gianni Maddaloni - il figlio Pino è diventato campione mondiale di judo - e sempre qui è nata Figli del bronx, la casa di produzione di Gaetano Di Vaio.

Ora è pieno di colori

Il volto nuovo di Scampia è colorato, vivo e pieno di speranza come i murales di Pignataro, quelli che trovi al Centro sociale Gridas (Gruppo risveglio dal sonno). Questo spazio dello Iacp fu occupato nel 1981 da un gruppo di attivisti come Franco Vicario. Da qui parte il corteo del Carnevale sociale di Scampia, “dove nessuno si traveste, ma ognuno indossa la maschera che lo rappresenta e quella che denuncia la propria condizione” dice Franco mentre ci porta a visitare la stanza delle rondini. E’ una stanza piena di cianfrusaglie, materiali di scarto raccolti per strada, vernici e scatoloni, ferro filato e cartelloni. “Dodici anni fa il vento forte di un temporale ruppe il vetro della finestra in alto e due rondini entrarono a ripararsi. Quando siamo tornati dopo l’estate per riaprire la stanza abbiamo trovato un nido. I rondinini hanno imparato a volare in questa stanza e da allora ogni anno in primavera questo nido è sempre abitato, giovani rondini

imparano a volare, vanno via e ritornano la primavera seguente. Non sono sempre le stesse, forse a modo loro si sono passate la voce. È chiaro che qui al Gridas si sentono a casa. Sono accolte, trovano rispetto”. E come il Gridas anche Scampia vuole essere il nido in cui migliaia di bambini e le loro famiglie possano sentirsi a casa. Al sicuro. E la cosa meravigliosa è che qualcuno in questo luogo ha capito, per dirla con Calvino, quello che inferno non è, e lo sta coltivando. Per la rigenerazione urbana di Scampia il Governo ha messo a disposizione del comune di Napoli 96 milioni di euro: 30 nel Patto per Napoli, ulteriori 18 per il progetto Restart Scampia e 39 per la Riqualificazione urbana sul cosiddetto Bando periferie, 9 dal Programma operativo nazionale Città metropolitane. Emblematico naturalmente è il progetto di abbattimento delle Vele A, C e D e la riqualificazione della Vela B (la vela celeste che diverrà sede della Città metropolitana) con messa in sicurezza e sistemazione degli spazi aperti. Ma gli interventi hanno un respiro più ampio, che coinvolge tutto il quartiere e le zone limitrofe, con investimenti in edilizia scolastica, viabilità e mobilità, rigenerazione urbana. Non a caso, a queste risorse si collegano concettualmente nel Patto per Napoli ulteriori 31 milioni di euro per la realizzazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Rossella Strianese