Se i giornalisti indagano finiscono sempre sotto accusa

L'ultimo caso quello dell'inchiesta sullo smaltimento illecito dei fanghi. Un paradosso

Così hanno ucciso il giornalismo d'inchiesta. Altrove non è così. Il grande rischio di raccontare cosa si nasconde dietro il potere. Ma nonostante tutto non si deve rinunciare.

di Luciano Trapanese

Hanno scavato per quattro mesi, si sono infiltrati, hanno raccontato con le immagini il presunto marcio che ancora circonda lo smaltimento dei rifiuti in Campania, filmato patti indecenti, ripreso politici parlare di percentuali. E ora si sono trovati sotto inchiesta, indagati per induzione alla corruzione.

Lo avrete capito. L'inchiesta giornalistica, che si intreccia con quella giudiziaria, riguarda la Sma Campania e lo smaltimento dei fanghi. Che ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati di una decina di persone, tra loro anche il consigliere regionale, Luciano Passariello (candidato alle politiche per Fratelli d'Italia), e il figlio di Vincenzo De Luca, Roberto, assessore al comune di Salerno.

I giornalisti finiti sotto inchiesta, gli autori del reportage giornalistico, sono quelli di Fanpage, Francesco Piccinini e Sacha Biazzo. Insieme a loro l'ex boss e pentito di camorra, Nunzio Perrella, che si è infiltrato tra politici e funzionari e reso possibile l'inchiesta.

Nel frattempo anche la procura di Napoli era al lavoro. Le due indagini si sono quasi sovrapposte. Gli inquirenti hanno dovuto accelerare l'emissione del decreto di perquisizione e – sarà un atto dovuto? - hanno poi emesso un avviso di garanzia anche nei confronti dei giornalisti. Stavano intralciando l'indagine. Eppure le registrazioni dei reporter sono state tutte consegnate ai magistrati...

Nei paesi anglosassoni sarebbe andata in modo molto diverso. Ma non siamo né gli Usa, né la Gran Bretagna. E qui i giornalisti – evidentemente – non dovrebbero indagare. Ma solo raccontare le indagini della procure. Un limite evidente, che oltretutto ha reso più sterile il nostro lavoro. Si dice che la stampa libera debba essere il cane da guardia della democrazia. Ma un cane da guardia a volte morde, non può limitarsi ad abbaiare. Se quando morde viene “abbattuto” finendo sotto inchiesta, allora proprio non ci siamo...

Bisogna avere riscontri, ricostruzioni dettagliate, fonti certe e verificabili, e magari anche un'attenta analisi legale prima della pubblicazione. Ma se tutto questo viene fatto rispettando regole e norme, non si può mettere sotto inchiesta chi per mestiere deve raccontare anche quello che si nasconde dietro il potere.

In passato è capitato anche a noi di finire nel mirino per aver descritto lo spreco di denaro pubblico in cantieri eterni e incomprensibilmente bloccati (violazione di proprietà privata), per aver rivelato i dettagli di accordi sotto banco per appalti (annunci plurimi di querele mai presentate), di aver subito visite minacciose per una inchiesta sulla camorra nel business del cemento, sopportato le reiterate prese di posizione per presunte “rivelazioni di segreto istruttorio”, anche quando le fonti erano solo nostre. E così via.

Il nostro lavoro non ha tutele. Anche quando viene portato a termine nella più assoluta correttezza. Anche quando viene proposto con coraggio, dedizione e precisione. Rischiamo sempre di essere esposti a conseguenze. Pure da chi dovrebbe difendere il diritto all'informazione e alla circolazione delle notizie, anche quelle più scomode. Anzi, soprattutto quelle.

Tornando alle indagini sulla Sma Campania. E' chiaro che siamo in una fase preliminare, che il lavoro dei magistrati sia ancora in corso, che i funzionari e i politici iscritti nel registro degli indagati potrebbero essere scagionati e vittime di millantatori. Questo è pacifico. E il giustizialismo è sempre il peggior nemico del buon giornalismo. Ma resta un fatto: il quadro che sembra venire fuori è desolante. Funzionari che contattano – così si sente in una telefonata - un ex boss esperto nella gestione illegale dei rifiuti pericolosi, appalti concessi in allegria, percentuali da spartire, soldi pubblici finiti in tasche corrotte e – ancora oggi – rifiuti sversati ovunque, «non ci interessa come e dove, basta che li fate sparire», dichiara uno dei funzionari che non sapeva di essere ripreso.

C'è un altro punto che meriterebbe risposta. L'ex camorrista si era offerto anche allo Stato per smascherare i traffici illeciti sulla questione rifiuti. Ma gli è stato detto di no. Ha fatto il giro delle sette chiese. Poi è arrivato in quella redazione giornalistica e l'inchiesta è partita.

Per quale motivo è stato ignorato? O forse è stata proprio questa “collaborazione” a innescare la reazione dei magistrati?

C'è anche un'altra contestazione: perché far venire fuori questo video reportage a poche settimane dal voto? La dietrologia impone la solita ricetta: si voleva colpire o favorire qualcuno. O forse – e questa ci sembra giornalisticamente la ragione più credibile -: questa inchiesta ha un'eco e una validità proprio ora, prima delle elezioni.