Intervista esclusiva a Davide Camarrone. Tempesta metafora della realtà

Intervista esclusiva a Davide Camarrone. Tempesta metafora della realtà

26/03/2019 0 Di Flavio Silvia

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Abbiamo incontrato Davide Camarrone per parlare del suo libro Tempesta, metafora della realtà attuale, che partendo dall’omonima opera shakespeariana, ripercorre l’odissea delle migrazioni nel Mediterraneo.

Le migrazioni sono un criterio interpretativo del contemporaneo. La sola emergenza riguarda il fatto che ci sia molta gente che non ha nessuna idea di ciò che sta accadendo.”

di Flavio Sil­via

Durante il Caf­fè Let­ter­ario, orga­niz­za­to dal Comi­ta­to Preziosa Pan­tel­le­ria, tenu­tosi lo scor­so ven­erdì 22 mar­zo nel Castel­lo Bar­ba­cane di Pan­tel­le­ria, l’autore del libro Tem­pes­ta, Davide Camar­rone, ha pre­sen­ta­to ai pan­teschi la sua opera. Nell’occasione, in esclu­si­va per Pan­tel­le­ria — Pun­to a Capo Online, abbi­amo riv­olto delle domande allo scrit­tore, nonché gior­nal­ista sicil­iano.

 

Il tema del viaggio è un tema molto ricorrente nella scrittura. Cosa rappresenta per lei il tema del viaggio in questo libro?

È un viag­gio alla riscop­er­ta delle nos­tre radi­ci, per­ché noi siamo il viag­gio. Abbi­amo pau­ra del viag­gio quan­do dimen­tichi­amo chi siamo, da dove veni­amo, dimen­tichi­amo di essere delle per­son­al­ità com­p­lesse, di essere un popo­lo che ha den­tro di sé il seg­no di tan­ti viag­gi, tante migrazioni. È una for­tu­na possedere un’identità molteplice, ma è una grande dis­grazia perdere la memo­ria.

Essendo Tempesta una chiara rappresentazione della realtà attuale, qual è il suo punto di vista su quella che viene detta da molti ‘l’emergenza immigrazione’? Cosa vuol dire accoglienza per lei? 

La sola emer­gen­za riguar­da il fat­to che ci sia mol­ta gente che non ha nes­suna idea di ciò che sta acca­den­do: non siamo in emer­gen­za! È un proces­so di scam­bio di relazione che non è altro che l’intera sto­ria dell’umanità. Noi prove­ni­amo da luoghi lon­tani, abbi­amo cam­mi­na­to lenta­mente per gen­er­azioni da un luo­go ad un altro, poi le migrazioni si sono fat­te più intense e abbi­amo cre­ato un mon­do rapidis­si­mo.

Cosa pen­sava­mo? Che creare una veloc­ità così ele­va­ta di comu­ni­cazioni fisiche ed imma­te­ri­ali non deter­mi­nasse un’ulteriore accel­er­azione dei pro­ces­si migra­tori, che sono antichi come l’umanità? Ci stu­pi­amo dell’avere mod­i­fi­ca­to il mon­do?

Abbi­amo sem­plice­mente pau­ra, molti di noi, di ciò che non rius­ci­amo a capire e non li capi­amo per pigrizia, per aver smes­so di stu­di­are il mon­do e per aver pen­sato che si potesse sos­ti­tuire il libro con uno smart­phone. Paghi­amo la nos­tra stu­pid­ità con un proces­so nat­u­rale che con­tin­ua.

Ha lavorato con La Rete di Leoluca Orlando, oltre a collaborare con varie riviste impegnate nella lotta alla mafia e per la legalità. Quanto è ancora importante questo tema in Italia ed in Sicilia?

La lot­ta alla mafia  è uno dei tan­ti modi pos­si­bili per cui la Sicil­ia può ren­dere omag­gio alla sua sto­ria. La mafia nasce in quest’isola al servizio di poteri che inten­de­vano annullare le diver­sità.

I cod­i­ci mafiosi, perfi­no gli antichi riti di Cosa Nos­tra, si pos­sono ritrovare in quelle rit­u­al­ità introdotte dall’antica Inqui­sizione che si sta­bilì nell’isola con il pre­ciso inten­to di dis­far­si da pre­sen­ze ostili o ritenute tali, di reli­gioni per­cepite come nemiche da abbat­tere.

In realtà, c’è in ques­ta ricostruzione stor­i­ca un diret­to legame tra la nos­tra neces­sità di lib­er­ar­ci dal cos­tume mafioso e quel­la di tornare a col­orare le nos­tre strade dei popoli che le vive­vano.

Come nasce il “Festival delle Letterature Migranti” di cui è ideatore?

Qual­cuno ha pen­sato che le migrazioni fos­sero un prob­le­ma, aven­do pen­sato che fos­sero un pic­co­lo even­to o un fenom­e­no da stu­di­are in lab­o­ra­to­rio o un proces­so che pri­ma o poi si sarebbe esauri­to, non con­sideran­do che sono l’intera sto­ria dell’umanità.

Le migrazioni sono un cri­te­rio inter­pre­ta­ti­vo del con­tem­po­ra­neo.

Pen­sava­mo che con la morte delle ide­olo­gie non avrem­mo più trova­to uno stru­men­to di inter­pre­tazione. Le migrazioni ci aiu­tano, per­ché sono le migrazioni fisiche che noi spieghi­amo alla luce del­la nos­tra sto­ria e poi ci sono le migrazioni imma­te­ri­ali che ren­dono il deser­to di inter­net una fores­ta.

Se noi capi­amo che nel­lo scam­bio di cul­ture pos­si­amo crescere e recu­per­are un ruo­lo fecon­do gli uni con gli altri nel garan­tire val­ori uni­ver­sali, di con­viven­za, di scam­bio e di pace, allo­ra capi­amo che le migrazioni imma­te­ri­ali cor­reg­gono quel­la stor­tu­ra che è una promes­sa non evasa. Inter­net non è la panacea di tut­ti i mali, anzi, rischia di con­seg­nare alla soli­tu­dine ogni sin­go­lo fruitore di questo mon­do illu­so­rio che è il web, che sono i social che è la rete.

Le migrazioni, quin­di, lo scam­bio con­cre­to di espe­rien­ze, di conoscen­ze, anche di modal­ità nar­ra­tive, la con­t­a­m­i­nazione tra modal­ità nar­ra­tive dif­fer­en­ti tra la scrit­tura e l’arte con­tem­po­ranea, tra la musi­ca e il teatro, tra il cin­e­ma di ieri nel grande scher­mo e quel­lo di oggi nel pic­co­lo scher­mo, quel­lo di Net­flix, ecco, ques­ta relazione resti­tu­isce ad ognuno di noi la conoscen­za dell’altro e il non avere pau­ra dell’altro è il pri­mo pas­so da fare in direzione del­la pace.

Tempesta, un messaggio di pace…

Quel­lo di Davide Camar­rone si con­fer­ma un mes­sag­gio di pace. Una visione che appar­ente­mente sem­bra utopi­ca, impos­si­bile, ma che ci vuol dire che per cam­biare tut­to bas­ta attuare un proces­so di riconosci­men­to indi­vid­uale, che pun­ti ad avere rispet­to l’uno dell’altro.

Conoscere il prossi­mo vuol dire impara­re a conoscere sé stes­si. Ten­dere una mano a chi è meno for­tu­na­to di noi è il pri­mo pas­so ver­so la vera pace. La nos­tra è una pace appar­ente, com­pos­ta di mor­ti in mare, di por­ti chiusi e di muri innalza­ti che sono un osta­co­lo, una divi­sione che l’uomo non può per­me­t­ter­si di avere. La divi­sione non è pace. 

 

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