Matteo Salvini e Luigi Di Maio
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La sfida tra Salvini e Di Maio per il prossimo governo

Uno si è preso la leadership del centrodestra. L'altro ha condotto i 5 Stelle a imporsi quale primo partito italiano. E ora spetta fare da arbitro a Mattarella, che pensa a un governo di scopo. Con un nome a sorpresa: Raffaele Cantone

E dunque Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno vinto le elezioni. Tuttavia vincere è diverso dall'avere una maggioranza per governare. E né "Matteo" né "Luigi" dispongono dei numeri necessari per ottenere la fiducia dal parlamento. Non nell'immediato, almeno.

Al centrodestra mancano infatti 50 deputati e 25 senatori, al Movimento 5 stelle il doppio. Perciò, per riuscire a battezzare un esecutivo, uno qualsiasi, servirebbe un accordo tra due dei tre principali poli che dal 24 marzo disputeranno la partita politica della XVIII legislatura. Il quarto, LeU di Pietro Grasso, è numericamente ininfluente.

Qual è il piano di Mattarella per la stabilità del Pease

Ecco, secondo fonti del Quirinale interpellate da Panorama, un patto tra "diversi" risulterebbe assai gradito sul Colle. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ovviamente a cuore la stabilità politica del Paese, anche e soprattutto davanti all'Europa e ai mercati finanziari internazionali. Quindi, durante le consultazioni (formali e informali) con i leader dei partiti, il Presidente partirà da un assunto fondamentale: l'incarico da premier sarà affidato alla personalità che più avrà la possibilità di comporre una maggioranza parlamentare. E non sulla base dei puri risultati elettorali.

Certo, magari qualche protesta spunterà pure. Ma le valutazioni di Mattarella rispettano in pieno la Costituzione. E risolvono da subito i dubbi, anche giornalistici, su chi debba ottenere l'incarico tra il leader della coalizione (Salvini) o del primo partito (Di Maio) usciti vincitori dalle urne. La gara tra loro è appena iniziata. Nelle prossime settimane, "Matteo" e "Luigi" giocheranno appunto una partita doppia, parallela e convergente. Parallela perché entrambi, l'un contro l'altro armato, puntano a guidare l'Italia da Palazzo Chigi; convergente poiché il primo intende arrivarci ingrandendo la Lega, il secondo cannibalizzando il Partito democratico.

La strategia di Salvini per conquistare il Sud

Su Salvini basterà aggiungere che già ragiona su come recuperare terreno elettorale nel Sud Italia, laddove il centrodestra si è dimostrato meno pronto. Il leader leghista ha piena consapevolezza che in quella parte del Paese la sua coalizione è sembrata essere "vecchia".

Il fidato Giancarlo Giorgetti sta già avviando uno scouting utile a reclutare facce meridionali capaci di intercettare il "nuovo". A maggior ragione ora che il pregiudizio sulla Lega a trazione nordista pare essersi allentato.

La strategia di Di Maio per conquistare il Nord

Quanto a Di Maio, ha il problema opposto: deve riuscire a convincere anche l'elettorato settentrionale, che i 5 Stelle non conquistano. La strategia del leader pentastellato - condivisa con i vari Beppe Grillo, Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista - dipende però (e anzitutto) dai suggerimenti della vera mente del suo successo elettorale. E cioè Vincenzo Spadafora, ex garante per l'infanzia, suo consigliere politico, neo deputato e "inventore" della vincente campagna elettorale dimaista.

Spadafora, a differenza della quasi totalità della classe dirigente del M5s, non è affatto a digiuno di politica. Ha lavorato dietro le quinte di noti leader del passato (Alfonso Pecoraro Scanio e Francesco Rutelli), conosce l'arte della seduzione elettorale, frequenta mondi fuori dai canoni abituali del movimento (Confindustria, per esempio). E pensa che a Luigi un passaggio da premier nell'immediato, non indispensabile nei piani di Salvini, servirebbe a tranquillizzare i settentrionali finora terrorizzati dall'avvento dei 5 Stelle. Una volta a Palazzo Chigi, infatti, Luigi potrebbe dimostrare di non essere un "Masaniello" pronto a finanziare il "reddito di cittadinanza" per il Sud con risorse tolte al Settentrionee anche aumentando le tasse.

Cosa faranno i dem

Domanda: come fare per arrivare alla presidenza del Consiglio senza imbarcare i Denis Verdini di turno, ripetendo cioè lo stesso errore di Matteo Renzi, arrivato al potere con una congiura di Palazzo? La risposta sta nel Partito democratico. Di Maio vuole convincere un pezzo consistente dei Dem a sostenere un suo governo. Una missione impossibile? In teoria no. Tutti gli antirenziani (a partire da Michele Emilianoe Andrea Orlando), molti ex renziani (da Dario Franceschinia Graziano Delrio), e persino alcuni giovani dirigenti (come Claudia Bastianelli) risultano affascinati dalla possibilità di un appoggio esterno a un governo garantito da Mattarella. E, per una volta, non per ragioni di poltrone, bensì dalla convinzione che con un ritorno rapido alle urne il Pd potrebbe sparire per sempre. Insomma, meglio fare da cane da guardia a un governo di altri che cancellare il Partito democratico.

Nel frattempo, ci si potrebbe riorganizzare, celebrare un congresso, individuare un nuovo leader al posto di Matteo Renzi. Magari quel Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo in scadenza di mandato, al quale nel partito cominciano a guardare come ancora di salvezza per il futuro e che, proprio dopo il voto ha preso la tessera. Il problema è proprio lui, Renzi. Che, pur di non darla vinta ai suoi nemici vecchi e nuovi, è pronto a uccidere un partito in coma. Il 4 marzo Matteo ha perso 5 milioni di voti in confronto alle Europee del 2014. E 2,6 milioni rispetto al 2013. L'allora segretario Pier Luigi Bersani si dimise, Matteo annuncia dimissioni farsa. Lo stile dell'uomo è tutto qui. Per intenderci meglio, è lo stesso uomo che tenta di rimettere la responsabilità della sconfitta sulle spalle di Paolo Gentiloni. O su Mattarella, colpevole (secondo Renzi) di non aver concesso le elezioni quando le voleva lui.

L'idea del governo di scopo

Al Quirinale non nascondono l'amarezza verso il segretario del Pd. Mattarella, che non vive sulla luna, sa benissimo che l'opposizione di Renzi rende strettissima la via per le "larghe intese". E allora è persino naturale che sul Quirinale si valutino altre opzioni. La più caldeggiata indica la soluzione in un "esecutivo di scopo", anche di breve durata, che traghetti il Paese a nuove elezioni. Tale ipotetico governo dovrebbe poter trovare una larghissima maggioranza parlamentare, sulla base di un programma ridottissimo, con al primo punto una nuova legge elettorale che superi il Rosatellum, stabilisca un premio di maggioranza e preveda un vincitore certo delle votazioni.

Va da sé che a guidare un esecutivo siffatto potrebbe essere soltanto una personalità "terza", unificante ed esterna ai partiti, un ex presidente della Corte della Costituzionaleo un'Autorità indipendente. Tra i (fu) massimi esponenti della Consulta, l'identikit conduce ai nomi di Franco Gallo, Alessandro Criscuolo, Giuseppe Tesauro. Mentre tra le Autorità circola il nome del garante dei detenuti Mauro Palma. Ma c'è una figura che viene vista come riserva della Repubblica, ovvero quella di Raffaele Cantone, presidente dell'Anticorruzione. Un superprocuratore per un supergoverno?

(Articolo pubblicato sul n° 12 di Panorama, in edicola dall'8 marzo 2018 con il titolo "Tocca a loro")


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Carlo Puca