“Venne la guerra e capimmo cos’era il fascismo” La serata film con le testimonianze di 73 anni fa

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I ricordi migrano, scompaiono e riappaiono, proprio come i geni del Dna, che scivolano dalla prima alla terza generazione impregnandola di curiosità, di voglia di sapere. Ce ne siamo accorti martedì sera ascoltando, nell’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, i racconti di storia piacentina (e italiana) di settantatre anni fa, da alcuni dei protagonisti che li vissero.

A esempio quelli di nonna BRUNA BONGIORNI, scomparsa il 2 maggio, sollecitata dalla curiosità del nipote Thomas Trenchi, a cui ha confidato la sua personale vicenda di donna durante il fascismo e la guerra del 40-’45, e dentro la lotta partigiana.

“Eravamo giovani e del fascismo, inizialmente pensavamo bene”. Poi vennero i tanti obblighi, i tanti veti e le privazioni, la fame, il mercato nero, “l’obbligo ad iscriversi al partito fascista, dei tesseramenti, alla maestra si faceva il saluto romano; venne la guerra in Africa e poi anche in Italia, capimmo cos’era il fascismo”.

Venne l’armistizio, la nuova chiamata alle armi, la caccia ai giovani renitenti alla leva, arrivarono gli aerei a sganciare bombe sulla città; la morte del papà a soli 43 anni, di un fratello in Grecia, un altro prigioniero in Egitto e gli altri tre sui vari fronti, il marito partigiano. E poi i soprusi, sempre impuniti, “una mia amica fu violentata davanti ai genitori, da tedeschi o fascisti, non so”. E la chiamavano fortuna, quella di vivere in campagna dove era possibile sfamarsi meglio che in città”.

I ricordi di Bruna, affidati al microfono del nipote Thomas, sono arrivati ai molti, anche giovani, presenti alla “serata film” – programmata dall’Anpi provinciale di Piacenza nell’ambito delle celebrazioni del 25 Aprile – ideata dal presidente Stefano Pronti e realizzata in collaborazione con il Cineclub ed il suo eclettico presidente Giuseppe Curallo.

L’intento del presidente Stefano Pronti era di proporre “testimonianze di persone che hanno vissuto gli anni della guerra e della lotta di liberazione e che riportano la loro esperienza in racconti spontanei e immediati; non storia ma cronaca diretta di fatti accaduti e rimasti incisi nella memoria, nel loro realismo e nella loro unicità”.

Due ore tra applausi e religiosi silenzi ad ascoltare i capitoli della vita di alcuni “Testimoni della guerra e della Liberazione a Piacenza”. Quelli di GIACOMO SCARAMUZZA, all’epoca ufficiale degli alpini, poi partigiano in Val Nure, lunga vita di giornalista, ora brillante e sempre graffiante nonagenario: “Le SS italiane giuravano per la patria italiana ma l’obbedienza assoluta era per Hitler, il giuramento vero era per la Germania”, ha detto con veemenza sventolando la copia del documento davanti alla telecamera. Il racconto continua fino alla mattina del 28 aprile ’45, la liberazione di Piacenza.

ALESSANDRO MINOJA, avvocato scomparso due anni fa, aveva raccontato allo sbigottito genero Umberto Fantigrossi e ai nipoti di come lui capofila della sua classe, la terza C del liceo Gioia nel giugno del ’44, si fosse fatto beffe del vicefederale della città, inneggiando al re anziché al duce durante una assemblea di istituto. E dell’escamotage trovato dai professori “di religione don Ettore de Giovanni, di storia dell’arte, di filosofia che suggerirono al preside Romani di esporre subito i risultati degli scrutini già fatti, onde evitare il una ingerenza e rischio di bocciatura delle autorità fasciste”.

E via via, le narrazioni sono proseguite tenendo alto l’interesse del pubblico. La storia di quando PIERINA BUSSANDRI salvò la vita a un partigiano e ad una staffetta in zona Castell’Arquato e di come, secondo lei, l’ufficiale austriaco finse di non accorgersi di quella sua strana manovra. Dii quando, invece, incenta della sua bambina, fu schiaffeggiata da un mongolo, “la guerra porta sempre cose brutte, sogno per i giovani pace e amore”.

Intensi ricordi del grande rastrellamento con la Turkestan vissuto da FRANCO MAGGI, lo scomparso sindaco di Bobbio. Gli orrori della guerra e delle fatiche delle donne, rimaste a casa con vecchi e bambini spesso in balia dell’esercito oppressore, soprattutto in quel freddo inverno del ’44-45, che tanti lutti arrecò fra le forze partigiane.

PINA MUTTI e le terribili ore dell’imboscata del Guselli, “decine di cadaveri rimasti diversi giorni a terra perché i tedeschi avevano proibito di portarli via, poi li recuperammo con tre carri e li portammo in chiesa a Morfasso per i funerali”.

Il film documento si è concluso con le immagini, girate da un cineamatore, del passaggio delle truppe alleate sulla via Emilia ad Alseno ostacolate dalla gente scesa in strada per festeggiare la cacciata dei nazifascisti da Fiorenzuola e da Piacenza.

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