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Le prime decisioni di Zingaretti nel Pd

I Graffi di Damato sulla decisione del nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, riguardo la sede del partito al Nazareno

Dalla sinistra, almeno da quella post-comunista, il nuovo segretario del Pd Nicola Zingaretti ha sicuramente ereditato quella che al Fatto Quotidiano hanno giustamente chiamato “la sindrome dei traslochi”. Cui si ricorre quando si vuole fuggire da un passato diventato troppo scomodo, per quanta nostalgia si continui forse a colvitarne dentro di sé. E Nicola Zingaretti, sotto sotto, un po’ di nostalgia per la storica sede del Pci dei suoi anni giovanili, in via delle Botteghe Oscure, deve avvertirla ancora se, volendo portar via il Pd dall’attuale via del Nazareno verso una sede meno centrale, meno costosa dei 600 mila euro l’anno dell’affitto odierno e meno sfortunata, ne ha immaginata una provvista al piano terra di un ampio spazio aperto al pubblico come una libreria. Fu proprio di una libreria al piano terra, chiamata come la storica rivista comunista da lui diretta, Rinascita, che Palmiro Togliatti volle attrezzare la sede nazionale del Pci in via delle Botteghe Oscure, come di uno spazio aperto.

UNA SEDE SFORTUNATA

Tra le sfortune dell’attuale sede del Pd, peraltro ereditata in qualche modo da un altro partito – quello de La Margherita post-democristiana di Francesco Rutelli, unificatosi nel 2007 con i Ds-ex Pci di Piero Fassino– credo che Nicola Zingaretti includa, prima ancora della scoppola elettorale dell’anno scorso, la lunga segreteria di Matteo Renzi e il patto per le riforme che proprio in quella sede lo stesso Renzi volle stringere con Silvio Berlusconi. Che pure era stato da poco condannato in via definitiva per frode fiscale ed espulso conseguentemente dal Senato.

ALL’EPOCA DEL PATTO DEL NAZARENO

Quel patto, in verità, durò poco più di un anno, naufragando nel 2015 per l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale. Dove Berlusconi aveva cercato di convincere l’allora presidente del Consiglio Renzi, oltre che segretario del partito, a mandare invece il giudice costituzionale Giuliano Amato, commettendo però l’imperdonabile errore di spendere a suo favore l’accordo di Massimo D’Alema da lui personalmente accertato. Fu una cosa che il Matteo di Firenze scambiò per una provocazione, tanto lui era convinto di avere ormai meritatamente rottamato quel pezzo grosso della nomenclatura comunista e post-comunista che era appunto D’Alema.

Pur di breve durata, e così rovinosamente finito, con effetti pesanti sulla stessa sorte politica di Renzi, passato da una sconfitta all’altra, quel patto chiamato “del Nazareno” è rimasto come una dannazione nella memoria del Pd. Dove Berlusconi non è meno inviso di Matteo Salvini, e forse persino di Beppe Grillo ed amici, per quanto ogni tanto si avvertano sospiri sotto le cinque stelle ricambiati da qualche volenteroso piddino.

STRANE ALLEANZE IN SICILIA?

Eppure, c’è ancora del Nazareno, inteso come patto col centrodestra di conio berlusconiano, in qualche piega del Pd. Lo hanno scoperto e denunciato a Nicola Zingaretti nella redazione del Fatto Quotidiano con “la cattiveria” di giornata, sulla prima pagina, dedicata alle elezioni comunali siciliane del mese prossimo. “Il Pd di Zingaretti -hanno scoperto dalle parti di Marco Travaglio– sostiene Forza Italia e altre liste di destra. E Montalbano muto”. Ma va detto che il fratello del commissario televisivo Luca si insedierà alla segreteria del Pd solo domenica prossima, non so se in tempo per tagliare o far tagliare la coda nazarenica in Sicilia segnalatagli impazientemente dal Fatto.

 

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