FESTA DI SAN CATALDO PATRONO DI MASSALUBRENSE video

Giovedi 10 maggio 2018 festa di San Cataldo a MassaLubrense  con processione alle 18.00. Fervida la devozione popolare, testimoni i tanti tanti massesi e non con il nome Cataldo-Aldo.  La serata sarà sottolineata dalla banda musicale di Massalubrense.

Traffico, Caos Fiordo

Positanonews  alla ricerca delle origini del culto proveniente da Taranto, propone stralci del libro di Coppola.

TRATTO DAL LIBRO DI NINO COPPOLA  “SAN CATALDO E IL SUO CULTO”

Questo paese, apertosi al culto di San Cataldo nel XV secolo
affonda le radici della sua cristianità nel tramonto stesso ,”””’ ‘
della più antica religiosità mediterranea, greca e latina. E.
Jstoria comune a tanti paesi e città, soprattutto di mare, sorti e : “‘viluppatisi ai più felici approdi di tutte le migrazioni del
”sacro e dell’umano, che intrecciano indissolubilmente le loro
· vicende, ricevendone mutuamente un senso. Storia evolutasi
con tutti gli incerti dovuti alle novità di ciascuna era, ma
·• dove ogni successione non fu mai senza eredità. Massa Lubrense
deve la sua ricchezza religiosa e civile all’essere stata,
‘Ùgni volta, un’avveduta e pia erede. Prime ad approdare, im;
p ropriamente, furono le Sirene, avendo spiccato un volo dai
· Ìù orientali recessi di questo mare. La loro musicale e fatale
.J;’.isonanza è ancora fresca nelle pagine dei poeti, da Omero
;):.I contemporanei, com’è calda nelle rocce che ancora sem”j;;
rano evocare di quel Syrenusion le suggestioni e il mito. Dal·
· a prora di Ulisse, poi, s’insediò qui Atena, la grande dea che contrassegnava, dopo un incalcolabile tempo di paure, le
pr ime vere e promettenti aperture a un mare destinato a diJv
entare la stessa via di una comune civiltà e di un generale
progresso. Numerose Dee-Madri accompagnarono i Greci nelle
loro migrazioni occidentali e, per quanto riguarda il litorale
‘<lubren se, è opinione degli studiosi che vi ebbero centri di Jculto Ecate e Cibele, ad una delle quali dovette essere dedicato ;Un tempio alla Marina di Massa altrimenti detta della Lobra
(Cibele Lobrine?) . Unico dio maschile Apollo, di cui rimase
‘il nome in Crapolla (akra Apollonos), spiaggia e rifugio di
·pescatori sul golfo di Salerno.
In epoca romana quest’Olimpo ellenico si arricchiva di
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altre divinità importate dal patriziato che scelse questo paese
per sua residenza estiva. Vi sorsero, secondo la tradizione
letteraria, templi consacrati a Nettuno, a Giunone, ad Ercole
nella villa di Pollio Felice, oggi Puolo, mentre ritroviamo
Ecate ed Atena latinizzate in Diana e Minerva, la prima sempre
a Puolo, la seconda ancora sulla estrema Punta del Promunturium
Minervae, già Athenaion.
Questi culti nuovi caratterizzarono il primo secolo dell’Impero,
lo stesso che si apriva ai riti misterici dell’Oriente
e in particolare a quello di Mitra nonché al Cristianesimo.
Intanto una nuova religione di stato, quella augustale, con
il culto di Cesare e di Roma, conquistava e, con intolleranza
crescente, difendeva l’egemonia. In questa copiosa temperie
di culti pagani si inserisce il Vangelo di Cristo, la cui progressiva
affermazione dovette raggiungere ben presto la Penisola sorrentina,
se risponde al vero la tradizione di un passaggio dello
stesso apostolo Pietro, sbarcato a Crapolla alla volta di Sorrento
e, quindi, di Pozzuoli, con l’animo, il pensiero e la parola
rivolti a Roma.
Ad accogliere questo sacro retaggio fu innanzitutto il culto
alla Madonna, il cui primo tempio sorse alla Marina della Lobra,
dal che il particolare titolo, sulle rovine di quello che era
stato il santuario di Ecate e di Cibele, mentre eredi dei maschi
Apollo ed Ercole, furono, alla marina di Crapolla, San Pietr? e, alla marina di Puolo, Sant’Erasmo.
Da queste marine il culto cristiano si diffondeva a tutto
il territorio , caratterizzando il sorgere stesso di quella comu-
• nità che doveva, nel corso dei secoli, identificarsi nel titolo
lubrense, da quello della Lobra, ormai divenuto il secondo e,
forse, il più vero nome di Massa. Quest’ultimo, infatti, altro
non significherebbe clie l’antica unità fiscale di un insieme di
praedia non compresi nella municipalizzazione sorrentina, secondo
quella che era stata l’organizzazione coloniale agricola
romana nel tempo dell’Impero.
Mentre il culto di San Pietro rimaneva accentrato in Crapolla
e in quell’abbazia benedettina, celebre per ritiro dei
Folengo e per aver avuto abate commendatario Papa Clemen-
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IX Rospigliosi, la Madonna della Lobra e Sant’Emsmo d’.-
. . · 0 i principali patroni dell’intero paese. Di questi ult1- v<‘l111van . d” . d culti però solo il primo si perpetuava nel nto 10- ,-:-‘ ‘JUI ue , ‘ . . e nello zelo dei vescovi, mentre Il secondo doveva cesano .
<e d 1·n epoca bizantina, a quello d1 San Costanzo, patrono ,,- -ce ere, ‘l.l!tres\ della dirimpettaia isola di Capri. . Proprio a San Costanzo succedeva, finalmente, nel Se1cen:
. a dopo tre secoli circa di già fervida devozione d1 ro, m
1 l ” tutto il popolo, il nostro San Cataldo, dopo a tras az10ne
definitiva delle sue reliquie nella cattedrale di Massa Lubrense.
Questa città, infatti, vive la protezione di San Cataldo da quando
le sue reliquie divennero, nella semplice fede del popolo,
. . ima nuova àncora cui affidare le superstiti speranze in un’epoca
·· timasta tra le più incerte e scoraggianti della sua storia.
Nel 1440 si vivono le ultime drammatiche vicende della
guerra dinastica tra Angioini e Aragonesi pe: la conquista della
corona di Napoli, destinate a precedere d1 poco, per Massa,
l’infeudamento al Correale, quando la «polacca » del massese
Cesare Starace approda alla Marina della Lobra con le reliqtìie
di San Cataldo portate da Taranto .
Cesare Starace, nativo del casale di Termini (era nipote
di quel Sergio venuto da Vico, nel ‘300, a costruirvi la Torre
di Minerva), fece erigere al Santo una cappelletta. Il luogo, detto
Lo Campo, non era lontano dalla sua casa, né dalla chiesa
parrocchiale di Santa Croce .
Da questo primo centro di devozione il culto cataldiano
ebbe una diffusione assai rapida in tutta la diocesi lubrense,
tanto che i Vescovi non aspettarono molto per accaparrarsene,
per la Cattedrale , ogni beneficio spirituale e materiale . Concorse
ad agevolare l’impresa la natura instabile di quel terreno
che, dal crinale delle Tore di Casa, discende a Nerano;
oggi questa zona viene chiamata « la frana ». E proprio una
frana dovette essere la causa del minacciato crollo di quella
prima cappella di San Cataldo, come pure del primo trasferimento
della preziosa reliquia . Un passo per ora breve che,
in attesa di promesse riparazioni, vedeva, già nella seconda metà del ‘500, quel « braccio » del Santo nella vicina Chiesa
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parrocchiale . La cappelletta però non fu restaurata, com’è
testimonianza nella visita del Vescovo Asprelb, che nel 1587
la trovò quasi diruta.
Intanto anche la Chiesa di Santa Croce veniva ad affrettare
i progetti vescovili e il destino di una più onorata ospitalità
al Santo nel maggior tempio cittadino, nonché della
stessa gloria del suo patronato. Anche la Parrocchiale di Termini,
per nuovi movimenti del terreno, si lesionava paurosamente
nel 1609: e l’occasione fu colta dal Vescovo Quinzio.
I Terminesi si ribellarono, ricorrendo alla Curia. E questa,
con decreto del 10 agosto di quello stesso anno, stabiliva che
la reliquia rimanesse nella Cattedrale fino alla ricostruzione
dell’antica cappella nel Campo. Ma di questo tempietto, nel
1685, il Vescovo Nepita non ritrovava che pochi avanzi . La
Cattedrale di Massa era ormai da considerarsi la sede definitiva
di questo culto, tra la soddisfazione generale e con
buona pace degli stessi Terminesi, tornati intanto devotissimi
di San Costanzo, nella cappella che gli stessi Starace
con gli Amitrano e i Vespoli dello stesso casale, avevano co’.
struito all ‘altrettanto mitrato Santo, sulla cima orientale del
Canutario. 1
Nella Cattedrale cinquecentesca di Massa ‘ – la quarta
con la paleocristiana Lobra Vecchia, la medioevale dell’Annunziata
e quella, pure cinquecentesca, della Lobra Nuova –
la venerata reliquia, ad opera dello stesso Vescovo Quinzio
trovò una prima sistemazione nella Cappella dell’Ascensione:

1 Canutario: nome precedente del Monte San Costanzo (m. 498 alt,),
dovuto al suo aspetto glabro e bianco che lo faceva somigliare alla
testa dì un vecchio canuto.
2 Questa Cattedrale fu eretta vicino all’estaurita di Sant’Erasmo
<‘ apud locum Palmae, in hospitio S. Episcopi Lubrensis ». Mons. Geronimo
Castaldo (1506-152 1) pose la prima pietra il 25 marzo 1512.
L’edificio, di tipo basilicale a croce latina con transetto ed abside a
cupola (poi demolita), fu consacrato a fine lavori 1’8 luglio 1543 da
Mons. Pietro Marchesi (1521 – 1544). Un’epigrafe non più esistente ne
tramandava il ricordo ai posteri.
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. . oggi di Sant’Anna.” Di_ qui, nel 1628, il Ve?covo ?entino !? tra’
sferiva in una mcchrn della Cappella d1 Sant Erasmo. Do;
po qualche tempo, però, essa dov?va t?rnai:e a.Ila Ca?pella del·
l’Ascensione, divenuta, dopo la rmuncrn d1 G10vanm Romano
al suo juspatronato, Cappella di San Cataldo.
Bastarono pochi anni perché il paese riconoscesse nel
nostro Santo le virtù e le predilezioni di un nuovo celeste
protettore. La prima processione parve
_
propiziare ?n’.attesissima
pioggia. E solo un popolo contadmo del meridione sa
quanto preziosa può essere «un’acqua di maggio » nel corso
di un’arida primavera. Alle processioni propiziatorie succedet·
tero quelle di ringraziamento; e furono le prime feste occasionali,
cui presto corrisposero quelle dell’ufficialità, con sempre
maggiore concorso della cittadinanza, del clero, delle autori
tà civili, celebrate puntualmente, dopo tridui e novene, alle
scadenze del calendario liturgico, tanto all’S marzo che
al 10 magg io. Intanto, 1’11 marzo 1640, per concessione della
Sacra Congregazione dei Riti ottenuta dal Vescovo Gallo, •
HANC AEDEM DEIPARAE GRATIARUM PARENTI SACRAM,
TRASLATAM A HIERONYMO CASTALDO
ANNO MDXII A MARIS LITTORE EPISCOPALI
SEDE IN CATHEDRALEM ERECTA A PETRO
MARCHESIO EPISCOPO A. MDXLIII VII JULII
CONSACRATAM; IAM PENE COLLABENTEM
MAURITIUS CENTINUS ASCULANUS EPISCOPUS
REPARATO FORNICE, CONFLATIS, AMPLIORIQUE
LOCO POSITIS ORGANIS, SUGGESTO ERECTO POPULEO
INSTAURATOQUE LAQUEARI ORNATAM IN HANC
FORMAM REDEGIT, ANNO SALUTIS MDCXXXI,
URBANO OCTAVO PONT. MAX.
PHILIPPO IV REGE
3 L’estaurita di Sant’Erasmo, inglobata nella nuova chiesa, divenne
la cappella di San Cataldo dove tuttora si conserva la reliquia in
una teca sopra la quale poggia la statua.
•Mons. Alessandro Gallo (1632-1645), napoletano, creato vescovo
di Massa Lubrense il 24 novembre 1632 da Urbano VIII. Fu lui ad
ottenere dalla S.C.R. la recita dell’Ufficio proprio di San Cataldo, si?
mile a quello di Taranto, con ottava, 1’11 marzo 1640.
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lo stesso Ufficio di San Cataldo, che si recita nella Metropolitana
di Taranto, veniva, con poche varianti e integrazioni
d’obbligo, ad aggiungere nuova solennità al rito.
Una modesta cappella ormai non si addiceva più a tanto
fervore di devozione, né quell’austero reliquiario . Così essa
fu restaurata e abbellita con stucchi e dipinti dal Vescovo
De Juliis,’ lo stesso che aveva sostituito all’antica teca lignea,
riproducente un braccio in atto di benedire, il mezzobusto
in rame con testa e mani d’argento, che ancora oggi
si ammira come opera degna della migliore stagione degli
argentieri napoletani. L’osso del Santo, sorretto da due argentei
puttini, venne appunto collocato nella base di questa
statua, dietro un cristallo incorniciato di fronde anch ‘esse
d’argento. Dello stesso metallo mitra e pallio, ma aggiunti nel
‘700 dal Vescovo Pisani, ‘ il quale, addì 6 marzo 1747, vi appose
anche, dopo esame canonico, i suoi sigilli. Fu però nel 1769
che il Vescovo Bellotti, 7 nell’eseguire i più importanti restauri
e abbellimenti mai avvenuti in Cattedrale, volle che la
cappella del Protettore, definitivamente trasferita nell’absidale
di Sant’Erasmo, fosse un piccolo gioiello, erigendovi !’al,
5 Mons. Giovanni Vincenzo De Juliis (1645-1672), napoletano, dei
Duchi di Melito, dottore in utroque, creato vescovo di Massa Lubrense
da Papa Innocenzo X. Difese, contro le pretese dell’Arcivescovo di
Sorrento, i diritti di appartenenza dell’Abbazia di Crapolla. Nel 1671
fece togliere la reliquia del femore, creduta osso del braccio, dal
reliquiàrio ligneo a _forma di braccio e la pose alla base della sta-
8tua di rame dorato con testa e mani d’argento, visibile da tre lati
attraverso cristalli, fatta a sue proprie spese e gli eresse la cappella.
6 Mons. Liborio Pisani (1748-1756), napoletano. Nel 1747, dopo un
esa1ne, volto ad accertare l’autenticità ed il possesso giuridico delle
reliquie, vi appose i sigilli ed aggiunse alla statua la mitra ed il pallio
d’argento. Morì a Napoli nel 1756 ed ivi fu sepolto.
1 Mons. Giuseppe Bellotti (1757-1788), creato vescovo lubrense, fu
il più grande restauratore della Cattedrale e del palazzo vescovile.
Riportò la reliquia con la statua di San Cataldo ne11a Cappella di
Sani’Erasmo, che, -restaurata ed abbellita, dedicò al protettore.
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11 stesso stile dell’altare mag- . e di marmi policromi, ?e
.
o
la statua. Così, ?r la nicchia destmata a ricevere
. . . g10 . . re con . -·fatto il pavimento m ma10hca, con t nelle pareti, 11 ‘
1
. àf fresca a
ti’l1’zio e dotata di pregevo I can- ·1 uo stemma gen , .a. I centro I s
d altri· arredi di fine fattura, la consa- . •
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. d’ ottone e
l’ . ·
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. d. M a Da quel momento antica . I to patrono 1 . ass .
. .. ,èrav a a san
‘E prendeva definitivamente il nome ‘. · ta di Sant rasmo
1· t ·1
.•..
‘.Estaun
. c t Id A tanto in punto e I mor e, l •. . C ella d1 San a a o.
‘ . .

.·.’.·· d.·1
.
· app
1 . poté che aggiungere m dono, a test1mo V vo Bel ott1 non
. et
” . esco
ticolare devozione, la propria croce p – nianza della sua par
<tarale.
Chiesa ex Cattedrale – Massalubrense:
Croce pettorale donata al Santo dal
Vescovo G. Bel/atti (secolo XVIII).
Per più di tre secoli la reliquia del nostro San Cataldo er
ll
a
‘ d. b . e tale era cantata ne stata ritenuta un osso I raccio, e com . b. .
G d Tu Massae civitas tali ditata brach10 “· Dub I ce inno « au e .
1
. non parlare di men’erano
stati sempre, da parte d1 mo ti, per
73

dici e anatomisti che pure erano in paese e d’
F 1 i non poc
sapere. u solo però nel 1795 h ·1 v
0
Jì d
e e I escavo Vassallo,s a
1 ttan o della venuta a Massa del dotto Padr p· t . d’
ppr?.
dell’O t · d e ie 1 o Onofrio ra or10, i Roma, 11e ottenne finahnente un csa1n
tempo stesso, pio e scientifico. Quel!’ osso non poteva
e, al
tenere ad arto st1periore, n1a era t1n pezzo di femore.
apparosso
Chiesa ex Cattedrale di Massalubrense:
del fe1nore di San Cataldo alla hase della statua.
La notizia dell’autorevole scoperta non potev ?:? ?/urbamento. Sarebbe stato facile cambiare ?u:?: ::;?? , . nn?, ma non altrettanto facile al popolo assuefarsi al
I idea d
b
r non . avere più quel braccio già datore di carismi d
.
ancora ened1cente e d. . . e
, imentrcare improvvisamente qu I I t’
no entrato ormai nella memoria e cantato a voce spieg:ta
a
a ?
.
‘ .B Mons. Angelo Vassallo, napoletano, dell’Ordine b .
I ultimo Vescovo di Massa (1792_1797) M ,
. enedettmo. Fu
. ori, cinquantasettenne, nel 1797.
74
()gni processione . E certo una crisi ci sarebbe stata, se lo stesso
padre d ‘Onofrio non fosse stato, oltre che dotto, provvido e
iiollecito, nell’ottenere dall’amico Vescovo di Taranto, Mons .
:Ccapecelatro, una nuova reliquia che dissipasse ogni imbarazzo:
·ìtn vero osso di braccio.
La Chiesa di Taranto fu davvero generosa. Con auten·
tka del 23 settembre 1796, il braccio di San Cataldo partì
alla volta di Massa Lubrense, per esservi accolto con tutti
;.gli onori, e sistemato, non appena la teca argentea fu pronta,
nel petto della statua.
Le celebrazioni di San Cataldo hanno ormai a Massa una 2: ?toria che supera il mezzo millennio. Le due feste, dopo l’a·
bolizione conciliare di quella dell’S marzo, detta della morte i::ò del dies natalis, si sono oggi, come altrove, ridotte ad una 7 sola. Ma il 10 maggio rimane a contrassegnare una data im·
‘, portante del calendario massese, quella di una vera assem;
blea di popolo che, superando l’ambito della giurisdizione
parrocchiale del capoluogo, quasi rinnova quella unità eccleiale
che fu della Diocesi lubrense. Davanti al nostro Santo si
ti(rova il Capitolo della Cattedrale, costituito da tutti i par· ?bei delle numerose borgate, lo stuolo delle non poche comu·
;nità religiose (Francescani, Paolotti, Immacolatine) e dei Terzi
;()rdini (Teresiano e di San Francesco), nonché il lungo sciame,
una volta lunghissimo, delle Confraternite. E, una sagra
b’lie agli splendori della primavera e ai fervori della fede vol
·.. aggiungere la policromia dei paludamenti, delle insegne e
i rami in fiore, appena colti a un limone, a un melo, a un
‘vo, e issati sugli stendardi a propiziare il frutto. I campi
rvono di lavoro. In questa stagione si discopre l’agrumeto,
i zappa, si innesta, si pianta e si comincia il raccolto del suo
\:ezioso frutto. Si curano la vigna e il frutteto, si riordina
liveto, si prepara la fienagione. Questa sagra è anche un’eco
•ifi tutto questo, in una fiera di carattere agricolo, con pre·
S<ll1Za di allevatori e vivaisti, e sempre più di espositori di ?ttrezzi e di macchine agricole. Poi la sera, immancabile, il
oncerto bandistico e, finalmente, le granate di mezzanotte,
75
come un ultimo, prezioso quanto effimero, saluto al Santo e
alle stelle. ‘
Ex

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