Blitz con metodi mafiosi, c‘è anche un poliziotto

Il gruppo fermato e indagato dopo tre anni di inchiesta operava con stesse tecniche di camorra e 'ndrangheta. Un ispettore corrotto dava loro informazioni.

(red.) Tecniche tipiche da criminalità organizzata che a Brescia non si erano mai viste con questa evidenza. Lo ha detto ieri, mercoledì 26 settembre, il questore di Brescia Vincenzo Ciarambino presentando l’operazione che ha portato la Squadra Mobile della questura a mettere in campo una serie di arresti e a portare a circa venti indagati. Sono molteplici i capi di accusa che coinvolgono la maggior parte dei membri di un gruppo formato da malviventi di “basso livello” e che venivano impiegati per provocare incendi e intimidazioni nei confronti di locali e bar che l’organizzazione criminale avrebbe voluto rilevare. E tra le accuse si parla anche di estorsione aggravata dal metodo mafioso, cioé tecniche identiche a quelle usate dai gruppi di camorra e ‘ndrangheta, pur senza farne parte.

Infatti, dall’indagine durata tre anni e seguita al duplice delitto dei coniugi Seramondi al locale-pizzeria “Da Frank” di via Mandolossa, è emerso che nessuno dei coinvolti fa parte delle celebri organizzazioni di criminalità. Nel mirino dell’inchiesta che ha visto la chiusura delle indagini c’è la pizzeria “I tre monelli” di via don Vender, in città, gestita dal 47enne Massimo Sorrentino, considerato a capo del gruppo, insieme alla moglie. L’uomo è stato arrestato (poi scarcerato e indagato a piede libero) insieme a un dipendente cameriere perché all’interno del locale erano state trovate delle armi, quelle che poi sarebbero state utilizzate per intimidire le vittime. E la questura ha emesso una sospensione della licenza per la pizzeria che per un mese dovrà restare chiusa.

Dall’indagine condotta insieme alla Direzione distrettuale antimafia è anche emerso un giro di droga destinato agli autori dei vari attentati incendiari e delle intimidazioni per ripagarli delle loro azioni e anche un’ingente quantità di sostanze stupefacenti arrivate dall’Olanda. Ma a sorprendere la questura c’è il fatto che di queste azioni faceva parte anche un ispettore della Polizia di Stato che lavorava proprio negli uffici di via Botticelli. Si tratta di un agente romano, ma stanziato a Brescia da tempo, che risulta indagato per corruzione e accesso abusivo ai sistemi informatici delle forze dell’ordine. In pratica, in un periodo di difficoltà economica si era rivolto al gruppo per chiedere del denaro in prestito. Ma invece di restituire i soldi, l’organizzazione gli chiedeva in cambio le informazioni sui personaggi con cui veniva a contatto. Questi fatti risalirebbero al 2016 e al poliziotto sono state rimosse le credenziali. Ora sta smaltendo un periodo di ferie e in seguito andrà in pensione, ma dovrà rispondere delle pesanti accuse. Dalla questura hanno detto di aver collaborato con l’ispettore per due anni durante i quali si sapeva cosa avesse combinato, ma tenendo nascosto tutto per non compromettere le indagini.

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