Mercoledì 24 Aprile 2024

Antonio Albanese: "Il mio Cetto meno populista dei politici veri"

"In questa campagna elettorale ho sentito cose che voi umani..."

Una scena tratta dal film 'Qualunquemente' con Antonio Albanese (Ansa)

Una scena tratta dal film 'Qualunquemente' con Antonio Albanese (Ansa)

Milano, 11 marzo 2018 - Antonio Albanese, la campagna elettorale è appena terminata. Il suo Cetto Laqualunque come l’avrebbe affrontata? Per chi avrebbe votato?

"In questa campagna elettorale ho sentito cose che voi umani... In confronto Cetto Laqualunque è un moderato, direi quasi un ciellino... Però attualmente lui è in Amazzonia, in mezzo alle mangrovie. Anche Cetto parlava di immigrazione: accoltellava i cinesi, però alle spalle. Purtroppo comportamenti come quelli visti in campagna elettorale sono entrati nell’abitudine, ci siamo assuefatti. Chi punta a rappresentare una comunità non può dire cose del genere. Il ministro della Paura in questi anni ha lavorato molto bene, eppure l’altro giorno ho letto una notizia molto interessante: il 2016 è stato l’anno col più basso numero di omicidi della storia d’Italia. Negli anni Sessanta ne morivano cento volte di più! Eppure se vai sul web o guardi certe trasmissioni, sembra che ci sia una carneficina continua".

Il 29 marzo esce il suo nuovo film «Contromano», che affronta con delicata ironia il tema dell’immigrazione. Come è nata l’idea?

"Desideravo affrontare la questione ma con leggerezza, senza urli, senza traumi, senza sorprese drammatiche. Di fronte a casa mia, come davanti a quella di chiunque altro, c’è un extracomunitario che ogni giorno puntualmente ti chiede delle cose. A volte ti viene voglia di mandarlo a quel paese, a volte ti viene voglia di dirgli: so che soffri perché hai lasciato casa, ti riaccompagno io e magari insieme, là, possiamo capire come risolvere la situazione. Nel film questo omino milanese melanconico, che non ha mai lasciato la sua città, decide di riportare un extracomunitario nella sua terra. Al di là della commedia c’è il desiderio di risolvere, pur se in maniera millesimale, questo problema. Io sono figlio dell’immigrazione, quella vera, mio padre ha percorso 1600 chilometri dalla Sicilia, lasciando i familiari, anche i figli, per trovare lavoro. Queste cose le ho tatuate sulla pelle. Quella di oggi è un’immigrazione diversa, ma sempre dolorosa. Ho provato a trovare una micro-soluzione: dare a loro, nella loro terra, una piccola possibilità. L’idea si è incrociata con quella degli orti di slow food, cioè dare loro l’occasione di possedere un piccolo appezzamento e vivere di questo. La mia vuole essere una fiaba per adulti".

Parlando sempre di immigrazione, lo stesso clima si percepisce anche altrove: in America Trump vuole costruire il muro, Macron ha detto «Prima la Francia». Il ministro della Paura lavora in tutto il mondo...

"Qui in Italia abbiamo soltanto la filiale di una grande multinazionale... Trump e molti come lui credono che uno Stato sia come un’azienda, formata da lavoratori selezionati. Ma non è così: il popolo è fatto di fortunati e sfortunati. E questo crea rabbia. Il muro può sembrare una soluzione, ma non si pensa alle conseguenze. C’è un movimento generale di popolazioni e dobbiamo accettarlo. Non si può risolvere bloccandolo, perché crea solo rabbia. Bisogna monitorarlo con attenzione, questo sì. Io sono orgoglioso di come l’Italia ha accolto queste persone che si allontanano dalla loro terra, non possiamo neanche immaginare quale sia il loro dolore".

Cambio argomento: è appena uscito il suo libro "Lenticchie alla julienne" in cui prende in giro l’alta sofisticatissima cucina stellata. Da quando e perché i grandi chef sono diventati i nuovi guru moderni?

"Da quando la televisione ha dato loro grossi spazi. Sono entrati nelle case e sono diventati delle divinità perché hanno cominciato a dire cose impensabili, a pronunciare formule astruse. A me fanno ridere moltissimo. Senti gli chef dire: oh no, questa pasta dozzinale contiene troppi amidi, fa ingrassare, poi i produttori della stessa pasta gli danno un milione e mezzo per la pubblicità, e loro la fanno. Ci sono quelli che dicono, mi raccomando, solo prodotti a chilometro zero. E dopo li vedi che fanno la pubblicità ai grassi saturi. Mentre io mi faccio un mazzo così per non far mangiare le patatine ai miei figli...".

Frequenta qualcuno di questi grandi chef?

"Sì, li conosco, c’è da morir dal ridere. È gente disperata, sola. Un giorno vado in uno di questi ristoranti e ordino un brodo di gallina nostrana, la cosa più semplice che c’era. Mi arriva un vassoio in ceramica etrusca, portato da una ragazza vestita come una geisha norvegese, e fa per spremermi del bergamotto nel brodo. Io le blocco il polso e le chiedo: ma perché? È un’idea dello chef, mi risponde lei. Me lo può chiamare?, dico io, anzi no, vado io in cucina. E allo chef ho detto: perché nel brodo di gallina nostrana mi vuoi mettere le gocce di bergamotto? Non c’entra niente! Perché questi esperimenti non li fai a casa tua?".

A fine aprile su Raitre andrà in onda il suo nuovo programma, "Topi". Di che si tratta?

"L’idea mi è venuta così: accendo la tv, e vedo il servizio su un mafioso con un patrimonio di 200 milioni di euro che era stato per 6 mesi in un bunker mangiando solo tonno in scatola perché non si fidava di nessuno, neanche dei parenti. La polizia fa irruzione e lui esce da un armadio con una faccia che era il misto tra il rimbambimento totale, e quella di uno che dice con sollievo: «Grazie!» Ho cominciato a ridere come un pazzo. Da lì mi è venuta l’idea di rappresentare una famiglia fuorilegge che vive in un bunker. La comicità per me ha questa grande capacità: rendere ridicolo tutto, anche il mondo dell’illegalità. L’unico modo di combatterli è ridicolizzarli".