Lunedì 29 Aprile 2024

Migranti, viaggio sul Col de la mort. L'Europa sfregiata al confine di Ventimiglia

Paura, fame e bivacchi. Così si rischia la vita per arrivare in Francia

Ventimiglia, migranti accampati in spiaggia (Fotocronache Germogli)

Ventimiglia, migranti accampati in spiaggia (Fotocronache Germogli)

Ventimiglia (Imperia), 8 ottobre 2018 - Una storia doppia. Di disperazione e di speranza, di fuga e d’inseguimento, di accoglienza data e di accoglienza negata, buona dal diritto e cattiva dal rovescio.

I migranti che arrivano a Ventimiglia, gli italiani che non vedono l’ora passino in Francia e i francesi che non vedono l’ora di acchiapparli per rimandarli in Italia, i locali che non ne possono più di questo transito continuo e altri che li aiutano, li custodiscono, preparano per loro il pranzo.

Da qualsiasi parte la si osservi, comunque una brutta storia. Perché quando per il sentiero che porta al ‘passo della morte’ trovi i resti di un biglietto di un bambino, il documento che una madre ha stracciato per non farsi riconoscere, le infradito abbandonate perché per scalare la montagna le infradito non vanno bene, allora i numeri si fanno persone, si animano e perdono la loro aridità.

È poi una storia che ti interroga sul senso dell’Europa unita, sulle tante parole che i francesi spendono contro chi vuol resuscitare i confini e Macron che si vuol far portabandiera contro i sovranisti. Perché qui, dopo Ventimiglia e prima di Mentone, una rete alta tre metri, armata di filo spinato sotto e sopra, taglia in due il Col de la mort , come viene chiamato il passaggio angusto, irto e pericoloso diventato la via prescelta da migliaia di migranti che si inerpicano là in cima e cercano di sfuggire alla gandarmerie che li bracca per i boschi per riportarli in Italia.

Il Col de la mort è un antico passo di contrabbandieri, scelto in passato da ebrei in fuga dai tedeschi, fascisti e partigiani. È pericoloso, ma si presta per la vicinanza a due grandi città, Ventimiglia e Mentone, che offrono la possibilità di arrivare fin là sotto senza dare troppo nell’occhio. E così fanno migliaia di migranti.

Giungono a Ventimiglia in treno o con qualche altro mezzo di fortuna, si accampano sul lungomare, dove si lavano e si cambiano, e aspettano. Sporcizia e disordine ovunque. Un giorno, due, tre, a volte una settimana. Aspettano il contatto giusto, il passeur che con 150 euro li accompagna di là.

Il Col de la mort è pericoloso, ma se fatto da soli, senza l’aiuto di chi conosce la strada può essere impossibile. Chi non ha voglia di attendere prova a seguire il tracciato della ferrovia o dell’autostrada, ma spesso ci lascia la pelle investito da qualche macchina o treno in arrivo. L’ultimo morto, una ragazza, è dei primi di settembre. Si calcola che dall’inizio della crisi migratoria, siamo morte alcune decine di persone.

Quelli che vogliono andar di là sono quasi tutti uomini, giovani. La stradina parte da Grimaldi, un piccolo borgo a sei chilometri a ovest di Ventimiglia, e si perde nel bosco. I segni del passaggio si susseguono, sconvolgenti, testimonianze silenziose di un’umanità impaurita ma decisa a tutto.

Valigie abbandonate, scarpe, ciabatte, indumenti, tubetti di dentrifricio, spazzolini, escrementi, puzzo insopportabile.

Chi arriva va alla Caritas di Ventimiglia dove riceve vestiti, un po’ da mangiare, qualche effetto personale e poi alla base del Col de la mort si libera di quello che aveva in precedenza. Anche dei documenti, che spesso si trovano strappati ai lati del sentiero, lasciati lì per non farsi identificare in Francia. Ci sono sacchi a pelo dove si è dormito una notte o due in attesa del passeur , le case isolate e disabitate lungo il percorso vengono spesso prese di mira e usate come rifugio per una notte.

Poi inizia il viottolo, che i passeur hanno segnato come fosse un sentiero del Cai, oltre ad aver annodato alle piante pezzetti di plastica, calzini, corde per l’arrampicata. La salita non è lunga, e se non si sbaglia si arriva alla rete che divide l’Italia dalla Francia in quaranta minuti. Lì c’è la rete, alta tre metri, oltre la quale si scorge Montecarlo, contrappasso beffardo di uno sfarzo sfacciato.

Una rete che sfregia l’Europa, che contraddice il trattato di Schengen. Non l’ha innalzata Macron, intendiamoci, è lì dagli anni Sessanta. Ma certo i francesi non l’hanno tolta. Un buco nella rete porta in Francia, e anche lì è tutto un susseguirsi di resti di bivacchi notturni. Nell’aria si avverte ancora la tensione dell’attesa e della paura. Poco più in là il tratto più ripido che porta a Mentone.

È quello scelto dai migranti, perché più a monte, dove si cammina meglio, ci sono i gendarmi ad attendere. È dove ogni tanto qualcuno cade e si sfracella, o dove resta appollaiato nel vuoto, non riuscendo ad andare avanti o dietro, e non resta che attendere l’arrivo dell’elicottero dei vigili del fuoco. Per tornare indietro, e ritentare di nuovo.