Mercoledì 24 Aprile 2024

Migranti, prefetto intercettata: "Ne abbiamo fatte di porcherie"

Patrizia Impresa era a Padova, ora è a Bologna. Si dice amareggiata: "Frasi estrapolate dal contesto"

La prefetto di Bologna Patrizia Impresa (Impresa)

La prefetto di Bologna Patrizia Impresa (Impresa)

Bologna, 1 settembre 2018 - Nel registro degli indagati il suo nome non compare. Ma quelle telefonate sul tema dei migranti, intercettate dai carabinieri su mandato della procura patavina e pubblicate ieri dal Mattino di Padova, chiamano in causa Patrizia Impresa in tutta la sua veste istituzionale. Quella di prefetto di Padova prima e di vicecapo di gabinetto del Viminale poi, tra il 2016 e il 2017, prima di approdare a luglio di quest’anno a Bologna.

«È vero che ne abbiamo fatte di porcherie, però quando le potevamo fare». E ancora, «anche se dobbiamo fare schifezze Pasquà...eh eh..no..schifezze...noi ci dobbiamo salvare Pasquà...perché, ti ripeto, non possiamo farci cadere una croce che...». Estratti di conversazioni queste che fanno riferimento a due diverse telefonate (14 aprile 2017 e 10 ottobre 2016) che Impresa ha fatto a Pasquale Aversa, viceprefetto vicario di Padova con delega alla gestione dei migranti. È lui (insieme con la funzionaria prefettizia Tiziana Quintario oggi in servizio a Bologna e i vertici della coop Edeco che si occupa di accoglienza Gaetano Battocchio, Sara Felpati e Simone Borile) a essere indagato nell’inchiesta per turbativa d’asta, frode nelle forniture pubbliche, truffa, concussione per induzione, rivelazione di segreti d’ufficio e falso ideologico. Per gli inquirenti, la coop avrebbe commesso una serie di irregolarità nella gestione dell’accoglienza, confidando nel silenzio compiacente della prefettura che avrebbe anche avvisato in anticipo la coop delle ispezioni in arrivo.

L’Edeco gestice i maxi centri di San Siro di Bagnoli (Padova) e di Cona (Venezia) finiti più volte al centro di accese proteste. Quando c’è da risolvere il problema di sovraffollamento, Impresa è chiara con Aversa: «Anche se andiamo a metterli da qualche parte dove non possiamo, qualche cosa la dobbiamo pur fare». Se i richiedenti asilo non potevano essere proprio spostati, si ricorreva agli ‘aggiustamenti’ contabili. Ciò sarebbe avvenuto in occasione di una visita dell’ex ministro Alfano a Bagnoli, facendo passare il numero da 900 a 850. «Il dato di 900 persone non possiamo darglielo assolutamente», avrebbe imposto Impresa.    «Sono molto amareggiata, quelle conversazioni sono state estrapolate da un contesto ben più ampio, ma sono certa del mio operato», ha commentato Impresa, aggiungendo che la parola ‘schifezze’ non significa che sia «stato commesso qualcosa di illegale, ma esprimeva la mia non condivisione di scelte, legittime, che ho dovuto assumere». Scelte assunte in un momento storico particolare in cui «c’era una pressione inesorabile sull’istituzione prefettizia per i continui arrivi di migranti». Un tema questo chiamato in causa dallo stesso ministro Matteo Salvini che non ha revocato l’incarico a Impresa, come invece chiesto da Forza Italia con il deputato Galeazzo Bignami. «Il governo di centrosinistra negava l’emergenza sbarchi, ma poi scaricava il problema sui prefetti e li costringeva a spostare i clandestini da un Comune all’altro per non irritare sindaci del Pd, ministri in visita o presidenti Anci del Pd – ha detto il vicepremier –. Se qualche funzionario ha sbagliato è giusto che paghi. Ma chi sono i mandanti politici?».