Mercoledì 1 Maggio 2024

Aborto e nozze gay, Papa Francesco in un’Irlanda sempre meno cattolica

Il Pontefice sabato chiude l’Incontro mondiale delle famiglie a Dublino. Sullo sfondo lo scandalo pedofilia che ha fatto perdere fiducia nella Chiesa in quella che era una roccaforte cattolica in Europa e che, dopo i recenti referendum, è sempre più un Paese fortemente laico

L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin attende il Papa

L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin attende il Papa

Dublino, 22 agosto 2018 - Quarant’anni dopo Giovanni Paolo II un Papa torna a metter piede in Irlanda. Sabato sarà la volta di Francesco, impegnato nella due giorni conclusiva dell’Incontro mondiale delle famiglie. Da Wojtyla a Bergoglio, in questi decenni, da una parte, è mutata la pastorale della Chiesa, oggi più attenta ai lontani, dalla fede come dalla dottrina, dall’altra, è cambiato profondamente il tessuto sociale dell’Isola di Smeraldo. Risultato, Roma e Dublino non sono mai state così distanti. 

Nel giro dell’ultimo triennio, complici la progressiva secolarizzazione e soprattutto i contraccolpi dello scandalo pedofilia nel clero, l’Irlanda si è scrollata definitivamente di dosso l’immagine, stereotipata ma rassicurante per la Santa Sede, di roccaforte europea del cattolicesimo più tradizionale. Prima il referendum, che ha dato il via libera ai matrimoni omosessuali (inammissibili per il Magistero), poi, nel maggio scorso, la consultazione popolare favorevole alla depenalizzazione dell’aborto (crimine punito con la scomunica automatica dal diritto canonico) hanno sancito un divorzio nell’aria almeno dall’inizio del nuovo millennio. Da quando cioè è scoppiato il bubbone degli abusi sessuali sui minori nel clero irlandese che ha visto il commissariamento di seminari, congregazioni religiose e diocesi da parte del Vaticano, nonché le dimissioni, dal 2006 al 2016, di metà dei vescovi dell’Isola, colpevoli di aver mal gestito i dossier sulle violenze. Tra questi anche monsignor John Magee di Cloyne, ai tempi segretario particolare di ben tre Pontefici, nell’ordine Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. 

Praticamente azzerata nei suoi vertici, in un primo tempo la Chiesa di San Patrizio, colpita nell’orgoglio, non è riuscita a innescare reazione diversa dal porsi sulla difensiva. Accuse giudicate esagerate, attacchi ai media assetati di scoop. Così facendo l’istituzione ecclesiale ha finito per allargare ulteriormente il fossato con una società sotto choc davanti all’armadio, prima socchiuso e poi spalancato, degli orrori perpetrati dagli uomini e dalle donne di Dio. C’è voluta la ‘Lettera ai cattolici d’Irlanda’, scritta da Benedetto XVI nel 2010, per iniziare faticosamente a voltare pagina, prendendo coscienza degli abusi compiuti e inquadrandone i fattori scatenanti (Ratzinger puntò il dito contro le procedure inadeguate nella scelta dei candidati al sacerdozio, la scarsa formazione umana dei chierici, la tendenza nella società a favorire il clero e una preoccupazione “fuori luogo” per il buon nome della Chiesa).

Oggi il cammino di conversione è in atto. Nonostante alcune sacche di resistenza assai influenti, la comunità cattolica sta anche provando a raccogliere le sfide della modernità che coinvolgono in particolare le nuove generazioni. La ripartenza della Chiesa in Irlanda passa soprattutto dalle donne, che, vessate e marginalizzate nell’immaginario tradizionale dell’Isola, in primis entro le mura domestiche, stanno sempre più guadagnando posizioni di rilievo nelle strutture pastorali. È il caso di Noirin Linch, responsabile dell’ufficio centrale per la catechesi, o di Paula McKeown, direttrice della Living Church di Belfast, un organismo creato dalla diocesi di Down per rilanciare i cammini di fede, in particolare quelli per i bambini. A Limerick, invece, nel 2016 si è chiuso il sinodo diocesano, il primo nel Paese da mezzo secolo e da settant’anni nella diocesi. Fortemente voluto dal vescovo Brendan Leahy, l’evento è stato un’occasione storica per rinnovare il cammino di fede, puntando sull’ascolto e la partecipazione attiva del laicato. 

In questo contesto ecclesiale in evoluzione sabato sbarcherà a Dublino papa Francesco, chiamato a presentare, per la prima volta in un meeting internazionale, i capisaldi della sua esortazione apostolica sulla famiglia. Come è noto, ‘Amoris laetitia’, pubblicata due anni fa al termine di un doppio Sinodo dei vescovi, coniuga verità e misericordia, la bellezza e la gioia del matrimonio con l’accoglienza verso chi vive situazioni affettive liquidate in un passato neanche troppo remoto come ‘irregolari’ nelle parrocchie come nei documenti ufficiali. Non è più tempo di muri, la Chiesa ‘ospedale da campo’, secondo gli auspici di Bergoglio, necessita piuttosto di ponti per incontrare gli uomini così come sono (non come dovrebbero o potrebbero essere) e annunciare loro il Vangelo di conversazione.

Fatte chiare le urgenze pastorali a livello universale, gli organizzatori del meeting si sono messi in scia a papa Francesco tra accelerazioni e frenate che hanno suscitato qualche imbarazzo. “All’incontro mondiale tutti sono benvenuti”, anche le coppie omosessuali. A dirlo, qualche settimana fa durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento, è stato l’arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin, assumendosi la responsabilità, in quanto referente dell’appuntamento, della rimozione dai volantini di foto che ritraevano partner dello stesso sesso. Anche un video del vescovo ausiliare di Los Angeles, monsignor David O'Connell, sarebbe stato modificato per escludere la sua affermazione secondo cui tutte le famiglie sarebbero state benvenute al meeting, comprese quelle arcobaleno. Alla domanda dei giornalisti se fosse responsabile delle due ‘correzioni’ in corso d’opera, Martin ha risposto: "Non credo di esserlo. Ma, essendo accaduto nel World Meeting of Families, mi prendo la responsabilità come responsabile dell'evento, e, se si commettono degli errori me ne assumo la responsabilità". 

Non nuovo ad esternazioni gay friendly (all’indomani della vittoria referendaria del sì alle nozze omosessuali disse: “Ho sostenuto la causa del no, senza dare indicazioni di voto, ma sono felice per la gioia di gay e lesbiche, il risultato porterà dei miglioramenti nelle loro vite. È in atto una rivoluzione sociale in Irlanda, la Chiesa deve confrontarsi con la realtà”), l’arcivescovo di Dublino ha invitato in veste di llrelatore al meeting il gesuita padre James Martin. Non un nome a caso, quanto piuttosto il religioso che si sta spendendo maggiormente nel dialogo fra le istituzioni ecclesiali e la galassia Lgbt. Per la prima volta così all’Incontro mondiale delle famiglie, un appuntamento voluto 30 anni fa da papa Giovanni Paolo II con cadenza triennale, si affronterà anche il nodo della pastorale per gay, lesbiche, bisessuali e trans. Un ulteriore segnale dello sforzo della Chiesa irlandese di riallacciare i fili del dialogo con una società che, con tutte le sue contraddizioni, forse più delle altre in Europa sta offrendo al popolo di Dio la possibilità di interrogarsi su se stesso e sulla sua dottrina, di per sé non statica ma in evoluzione.

Che comunque la strada per riacquisire credibilità e rispetto sia ancora in salita per la Chiesa di San Patrizio lo provano un paio di dati, impensabili fino a una trentina di anni fa: da un lato, il calo delle vocazioni resta spaventoso, con appena 25 seminaristi in tutta l’isola, dall’altro, la chiusura dopo 850 anni del seminario di Belfast, città simbolo di un conflitto in cui il dato confessionale (cattolici/protestanti) ha funzionato da benzina sul fuoco di una violenza in sé patriottica e di classe. Inoltre gli sforzi per ripartire non convincono figure tutt’altro che secondarie nel Paese. Prima fra tutte la cattolica Mary McAleese, presidente della Repubblica d’Irlanda dal 1997 al 2011. “La Chiesa è l’ultima fortezza della misoginia”, non si stanca di ripetere l’avvocatessa femminista, in prima linea sul fronte dei diritti civili, che da ultimo ha bocciato il battesimo per i bambini (“È una coercizione”). 

Come se non bastasse, in questi ultimi giorni lo scandalo senza fine della pedofilia nel clero sta avendo gravi ripercussioni sull’Incontro mondiale delle famiglie. A causa del recente report su migliaia di abusi in Pennsylvania (oltre 300 preti-orchi negli ultimi 70 anni), ben due cardinali statunitensi hanno deciso di dare forfait. Si tratta dell’arcivescovo di Washington, Donald Wuerl, su cui pendono sospetti di insabbiamento, e di Sean O’Malley, ordinario di Boston e soprattutto presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori. Quest’ultimo, tra i paladini della lotta alla pedofilia, ha scelto di restare nella sua diocesi per seguire da vicino l’inchiesta aperta al seminario St John su comportamenti inappropriati di diversi seminaristi. 

Sulla scorta del dossier Pennsylvania alcuni giorni fa è stato lo stesso papa Francesco a recitare il mea culpa con la pubblicazione della ‘Lettera al popolo di Dio’. Un documento senza precedenti, perché per la prima volta, a dimostrazione della gravità della situazione, un Pontefice scrive a tutti i fedeli sparsi per il mondo. In tanti stanno chiedendo in queste ore a Bergoglio di affrontare il tema della pedofilia nel clero anche durante la sua visita a Dublino dove dovrebbe incontrare in privato alcune vittime di abus. In fondo l’Isola di Smeraldo, assieme agli Stati Uniti, è stato il Paese più colpito dalla piaga della pesodilia. Fra i primi a chiedere un intervento a riguardo c’è l’arcivescovo di Dublino. “La mia speranza è che papa Francesco - ha detto Martin - voglia sfidare la Chiesa in Irlanda a essere diversa. Deve parlare francamente del nostro passato, ma anche del nostro futuro. Abbiamo bisogno di una Chiesa che ispiri fiducia”.  Lo dicono i vescovi, lo pretendono gli irlandesi. La loro fiducia è stata tradita e ora non è più a buon mercato.