Lunedì 29 Aprile 2024

Berlusconi e Bossi, l'amicizia e la malattia

Un destino sembra unire i due politici più legati (umanamente) della Seconda Repubblica di MICHELE BRAMBILLA

Silvio Berlusconi e Umberto Bossi (Ansa)

Silvio Berlusconi e Umberto Bossi (Ansa)

Camicia e completo scuri, ma rinfrancato e sorridente. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha lasciato ieri mattina l’ospedale San Raffaele di Milano. Sei giorni di ricovero dopo l’intervento per occlusione intestinale nel giorno in cui era in programma la presentazione delle liste per le elezioni europee degli azzurri. Ma il Cavaliere è pronto alla rincorsa. "Io sto bene, ho avuto una bella paura, poi tante cose che si sono succedute negli ultimi tempi mi hanno fatto pensare di essere arrivato alla fine del girone ma, invece, ho avuto una ripresa formidabile", afferma. Ancora qualche giorno di convalescenza, come promesso ai medici, e poi Berlusconi – assicura lui stesso – tornerà a fare campagna elettorale nelle ultime due settimane prima del voto. "Il Ppe – osserva – deve lasciare l’alleanza con la sinistra e cercarne di nuove con i liberali, i conservatori, la destra democratica e anche magari con Orban e Salvini".

Berlusconi all'uscita del San Raffaele (LaPresse)
Berlusconi all'uscita del San Raffaele (LaPresse)

di Michele Brambilla

Per i due più grandi amici della Seconda Repubblica il destino ha voluto che l’autunno fosse comune. Umberto Bossi e Silvio Berlusconi trascorrono in queste stesse settimane le loro convalescenze; insieme, anche se non nello stesso luogo, si curano le ferite provocate dai malanni dell’età e quelle di troppe battaglie. Non sarà contemporanea l’uscita di scena, perché Berlusconi – in qualche modo – avrà ancora una sua campagna elettorale: ma l’orologio e l’ingravescente aetate, come disse Ratzinger parlando di sé, non si possono fermare.

E non c’è dubbio che, fra i tanti protagonisti di quella stagione chiamata appunto Seconda Repubblica, quella stagione cominciata con Mani Pulite e finita con l’ascesa di Grillo e Salvini, nessuna coppia è stata più legata di quella formata da Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Non è questione solo di alleanza politica. Se è di alleanze che stiamo parlando, c’erano anche, nel centrodestra, Casini e Fini. Ma il primo aveva una storia pregressa e una futura; il secondo alla storia è passato invece come il Grande Traditore. "Tutti pensano che la persona che più mi vuol male sia Marco Travaglio – mi disse una volta Berlusconi – ma io le dico che sarà Fini ad accoltellarmi". Era gennaio 2007 e Fini – l’ex missino per cui Berlusconi fece endorsement prima del ballottaggio alle comunali di Roma del 1993, meritandosi l’appellativo di Cavaliere Nero – era ancora, con la sua An, sodale politico di Forza Italia; anzi il Pdl, il grande partito unitario del centrodestra, era ancora di là da venire. Ma Berlusconi – di cui molto si può dire, ma non che non sappia capire gli uomini – aveva già previsto tutto. E non è neppure questione di tradimenti, perché anche Bossi tradì. Anzi fu il primo a tradire. Era il 1994, Berlusconi era diventato presidente del Consiglio (per la prima volta) da poco, e l’Umberto faceva il matto presentandosi ad Arcore e in Sardegna in canottiera. Minacciava di far cadere il governo, e lo fece cadere davvero, poco dopo, prima della fine dell’anno. Ma non solo: alle politiche del 1996, Bossi presentò la sua Lega da sola, si prese quasi il dieci per cento e fece così perdere Berlusconi. Il primo governo Prodi nacque così. Eppure Bossi e Berlusconi sono tornati insieme e sarebbe sbagliato pensare che l’hanno fatto solo per interesse, per calcolo politico. No: c’è davvero, tra i due, un po’ di idem sentire, come diceva Bossi, ed è strano, perché le loro storie sono quanto di più distante. Berlusconi nasce all’Isola, quartiere un tempo popolare di Milano, e comincia a vent’anni a fare i soldi vendendo elettrodomestici, si presenta un giorno in cortile con una Mercedes bianca e tutti i ragazzi del caseggiato pensano "ecco uno di noi che ce l’ha fatta", così come quello di via Gluck che "ora coi soldi lui può comperarla", la casa della sua infanzia. Bossi invece è uno scioperato del Varesotto, si era perfino inventato una laurea in medicina e la moglie lo aveva mandato "in sull’ostia", come diceva Gianni Brera, il Gran Lombardo. Ecco, la Lombardia: è questo l’idem sentire di Silvio e Umberto. Quello che li ha fatti sentire, in fondo – uno miliardario di successo, l’altro portavoce dei bar – della stessa carne e dello stesso sangue.

Il declino di Bossi è cominciato prima. Nel 2004 un ictus lo aveva quasi ammazzato. Lui si riprese con una forsa de leùn, una forza da leone. Era tornato pure a fare il ministro. Ma i segni gli erano rimasti. Lo incontrai alla fine del 2013, alla Camera, per un’intervista. Mi presentai e lui, con un filo di voe roca, mormorò: "Brambilla... Brambilla... È un nome dei nostri". Ma ormai "i nostri" non c’erano più, la Lega non era più il partito del Nord, Salvini l’aveva ribaltata, forse per sempre. Berlusconi invece è rimasto in sella: ma di un cavallo che ormai non arriva più nemmeno fra i piazzati. Su una cosa, però, ha vinto. Il suo autunno non è come l’avevano immaginato quelli che l’hanno odiato, in galera o in esilio. Ieri, all’uscita dall’ospedale, ha forse raggiunto il suo vero, grande obiettivo: quello di farsi voler bene da tutti.