Lunedì 29 Aprile 2024

Rivolta sedata, ma il Movimento 5 Stelle è in tilt

Fico e Di Battista appoggiano il capo. Tra gli eletti si moltiplicano i malumori

Alessandro Di Battista e Roberto Fico (Imagoeconomica)

Alessandro Di Battista e Roberto Fico (Imagoeconomica)

Roma, 30 maggio 2019 - "Macché  processo... hanno già studiato tutto perché Di Maio esca più forte di prima...". Lo sfogatoio dell’assemblea dei gruppi parlamentari grillini, ieri sera a Montecitorio, quella che secondo i più ingenui dentro le fila stellate avrebbe potuto "cambiare il corso della storia politica dei 5 stelle", in realtà non ha cambiato nulla. Luigi Di Maio, il leader azzoppato da un risultato elettorale devastante, ha incassato di nuovo la fiducia dei suoi parlamentari, anche di quelli che a caldo della sconfitta lo avevano sfiduciato, ottenendo il via libera a proseguire persino da quello che, sulla carta, dovrebbe essere il suo antagonista giurato, il presidente della Camera Roberto Fico. Il sostegno è arrivato anche da Alessandro Di Battista, presente all’assemblea, e fautore della linea più aggressiva con la Lega.

"No all'uomo solo al comando". Di Maio è attaccato come Renzi - di R.CARBUTTI

Ma pensare che ci sia della spontaneità in questa unanimità dei consensi della base parlamentare 5 stelle verso Di Maio sarebbe un errore. Tutto è stato studiato nei dettagli, perfino la gestione dell’assemblea, già depotenziata nel pomeriggio dalla decisione di chiedere una "conferma della fiducia" a Di Maio da parte degli iscritti sulla solita piattaforma Rousseau. Un modo di sottrarre ai parlamentari grillini, specie ai senatori più critici come Nugnes e Fattori, la possibilità di tirare fuori un documento capace di "azzoppare Luigi – questa la dichiarazione al veleno di un parlamentare dissidente – più di quanto non abbiano fatto i suoi stessi elettori del Sud...". E rendendo peraltro vano lo sforzo fatto nella giornata dai vertici del Movimento e dalla comunicazione, di blindare il leader chiedendo a tutti i parlamentari di rendere pubbliche le loro "spontanee testimonianze di fiducia" con telefonate di richiesta di questo tenore: "Potresti anche tu manifestare sui tuoi canali social l’appoggio a Di Maio?", il senso del ragionamento. Tanti ‘mi piace’ per disinnescare anche la (remota) possibilità che il voto di oggi su Rousseau possa non essere così "plebiscitario per Di Maio" da rivelarsi più un boomerang che una via d’uscita.

C’erano tutti, ieri sera, per dare quel senso di unità nella disgrazia che, tuttavia, non ha tolto dal mirino di molti della grande famiglia grillina i veri responsabili del tracollo: gli uomini della comunicazione. Persone come Pietro Dettori, tra i soci fondatori di Rousseau e nello staff del capo politico, oppure la portavoce Cristina Belotti: entrambi sotto attacco per un rapporto non proprio forte con i senatori grillini, stufi di veder centellinare le loro uscite pubbliche da chi, poi, le sbaglia tutte. "Sono nostri dipendenti – sibilava un noto senatore – avremo anche il diritto di cacciarli o no?". E infatti, dopo la richiesta di uscire, gli uomini delle comunicazione hanno lasciato l’assemblea.

Umori e sensazioni che, comunque, non incideranno sul futuro del Movimento che Di Maio, ieri sera, ha delineato, parlando di riorganizzazione e di molto altro, ma sottolineando la necessità che il percorso sia gestito da "un capo che ha la piena fiducia di tutti". Solo così, si sostiene nelle fila grilline, il M5s sarà capace di tenere testa a Salvini, ma "valutiamo – ha sostenuto Emilio Carelli – di cambiare la squadra dei ministri". Nel mirino Bonafede, Fraccaro, Toninelli, ma anche Laura Castelli. E se anche questo estremo tentativo di resistere non dovesse funzionare, "Di Maio ci rimetterà la faccia, certo – sosteneva un parlamentare critico – ma noi torneremmo all’opposizione per chissà quanto tempo...". Tanto vale, dunque, investire in questo leader "che c’è", come ha detto il senatore Primo Di Nicola.