Mercoledì 24 Aprile 2024

Moavero: "L’Europa ha fatto errori. Ma i nazionalismi estremi distruggono l’Unione"

Il ministro degli Esteri: "Bisogna ritrovare lo spirito di condivisione"

Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi (Ansa)

Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi (Ansa)

Roma, 30 settembre 2018 - Ministro Moavero, oggi lei  lei celebrerà il 75° anniversario della strage di  Marzabotto. E per la prima volta saranno assieme il nostro ministro degli Esteri e quello  tedesco. Quale è la valenza di una  celebrazione congiunta?

«E’ una prima volta ed è importante perchè in questa fase del rapporto tra Italia e Germania, dimostra due cose. Da una parte, che i due Paesi hanno entrambi superato gli orrori della seconda guerra mondiale e sono stati capaci di riacquisire le piene libertà democratiche, nonché di intraprendere la via dell’integrazione europea. Dall'altra parte, che hanno un rapporto vitale di amicizia, che può essere vivacemente dialettico ma che si fonda su una salda comunanza di ideali. La presenza dei due ministri significa che, a differenza di ieri, oggi, sono inconcepibili i conflitti armati del passato: al più, discutiamo, magari animatamente, ai tavoli negoziali cercando di risolvere le grandi questioni dell'attualità dell'Unione Europa». 

Il presidente Mattarella, nel suo messaggio per la ricorrenza, dice che «a 74 anni da Marzabotto la mostruosità di quella strage i germi dell’odio non sono mai sconfitti per sempre». La xenofobia montante in vari paesi sembra dargli ragione. Ci eravamo forse illusi del contrario?

«Forse, anche se la 'cortina di ferro' ci mostrava in Europa una pericolosa contrapposizione. Quando cade, in tanti pensiamo di aver girato per sempre la pagina, ma quanto succede nell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni ’90 ci rammenta che i massacri, di cui Marzabotto è un simbolo, non sono seppelliti nei libri di storia. Questi fantasmi di odi antichi  ci sono e dobbiamo fare molta attenzione a non risvegliarli». 

Cosa ha fatto e cosa può fare l’Unione Europea per garantire la pace, la prosperità e i diritti nel vecchio continente?

«L’Unione ha  dimostrato, in maniera inoppugnabile, la capacità di costruire la pace tra i popoli europei. Oggi, lo diamo per acquisito, ma a ben vedere si tratta di un passo di portata epocale. Per i nostri nonni e avi, una guerra a generazione era normale. Adesso è impensabile. Un altro merito dell'integrazione europea è la diffusione di un inedito benessere per tutti i popoli che ne fanno parte. Tuttavia, il mondo sta cambiando: l’Europa dominava la scena, con Stati Uniti e Giappone; ora non è più così, nel mondo globalizzato in continu evoluzione tecnologica, ci sono nuovi  protagonisti. Noi Europei dovremmo interrogarci su quello che i nostri Stati possono fare da soli, rispetto a quanto possiamo fare insieme. Le statistiche dicono che dal 2030-2035 nessun paese europeo sarà più tra le prime sette economie del mondo...».

E quindi l’integrazione europea è una strada obbligata, ineluttabile?

«Credo sia la strada migliore. Ma dobbiamo percorrerla affrontando le insidie che abbiamo davanti.  C’è una sfida economica e occupazionale, bisogna governare i flussi migratori, incombe il cambiamento climatico, occorre tenere il ritmo dell'innovazione continua. Solo se dimostriamo che insieme gestiamo meglio queste emergenze molto concrete, i nostri cittadini potranno credere nell’Europa. Invece, se non riusciamo a dare risposte, rischiamo che questo progetto in teoria ineluttabile, si riveli alla prova dei fatti incapace di rispondere alle aspettative».

 La preoccupa l’avanzata in molti paesi europei di nazionalismi con venature xenofobe?

«Preoccupa perchè il nazionalismo esacerbato è proprio antitetico al progetto d'integrazione europea. Dico sempre che gli stati, aderendo all’Ue, rinunciano a una parte dell’esercizio esclusivo della loro sovranità nazionale, per condividerla con altri stati. Questa è l'essenza base della costruzione europea. L'Ue non è ancora una una federazione, ma è già molto di più di una semplice organizzazione internazionale tra stati. Le sue istituzioni sono comuni e in queste istituzioni noi continuiamo a esercitare la sovranità, seppure insieme ai partner. Il ritorno dei nazionalismi riduce la condivisione e può negarla.  In una tale, possibile deriva c'è più di un pericolo: infatti, i nazionalismi eccessivi possono davvero distruggere quanto si è laboriosamente fatto dal 1950 in avanti nel nostro continente». 

La popolarità dell’Ue è ai minimi. Nonostante i meriti, sembrano prevalere i non pochi difetti. 

«I difetti sono numerosi nell'Unione Europea, un'opera non ancora compiuta, con istituzioni dall'apparenza federale che però non lo sono. Spesso le attese sono superiori ai risultati, non di rado deludenti o tardivi. Quell'Europa che ci dice come devono essere impacchettati i prodotti alimentari o interviene in capillari dettagli del nostro quotidiano, non riesce ad affrontare tempestivamente questioni cruciali. Basti pesare alle risposte altalenanti alla grande crisi economica globale o alle carenze di fronte alle epocali migrazioni». 

Lei ha detto che la questione migranti è la saponetta sulla quale può scivolare l’Ue.

«Rattrista la sostanziale latitanza delle istituzioni Ue e l'assenza di solidarietà fra i governi degli stati europei davanti ai drammi dei continui flussi migratori. I migranti non cercano la Grecia, l’Italia o la Spagna, bensì l’Europa. E' palesemente una questione europea e invece, si lasciano soli i singoli paesi, di volta in volta esposti dalla loro geografia. Questo i cittadini lo vedono bene e ovunque, perdono fiducia».

E quindi, come rilanciare l’Ue?

«Per rilanciare l’Ue bisogna ritrovare lo spirito di condivisione. Gli ideali di democrazia e solidarietà funzionano solo se c’è questa predisposizione a cercare una soluzione insieme. Erano meno ardue le difficoltà che avevano De Gasperi, Adenauer, Shumann? Penso di no.  Un'Europa migliore è possibile e necessaria. Ma per farlo serve, a chi fa politica e a chi governa, una grande capacità di autentica leadership».