Mercoledì 24 Aprile 2024

ll Pd tentato dall’alleanza con i 5 Stelle

Zingaretti nega ma le diplomazie si muovono. Ala sinistra del Movimento in pressing

Nicola Zingaretti, segretario del Pd (Ansa)

Nicola Zingaretti, segretario del Pd (Ansa)

Roma, 7 aprile 2019 - Tra la Lega e i 5Stelle volano, ormai tutti i giorni, "gli stracci" e la crisi di governo sembra alle porte. A tal punto che potrebbe anche non aspettare il 26 maggio, cioè i risultati delle Europee. Di Maio bombarda ogni giorno Salvini e con argomenti sempre più ‘di sinistra’. Salvini risponde sempre più piccato, Conte non riesce a metter pace, la poltrona di Tria balla e il Quirinale è in agitazione.

Ma esiste uno scenario politico alternativo alla maggioranza gialloverde? In teoria, sì. Si tratterebbe di dare vita a un governo ‘giallorosso’ che, con numeri risicati, specie al Senato (ma anche l’attuale è sul filo dei 161 voti), dia vita a un "governo del cambiamento". Quello che – ricorda ogni tanto Di Maio – poteva già nascere il 4 marzo, "ma il Pd di Renzi ci disse no". Ora, però, nel Pd comanda Zingaretti, Renzi è ‘solo’ un senatore e i renziani una netta minoranza.

Zingaretti, ovviamente, nega ogni ipotesi del genere, sia in pubblico che con i suoi. 

Anche gli zingarettiani scuotono la testa pur accarezzando l’idea: "Renzi ce la farebbe saltare. Con un pugno di senatori affonderebbe quel governo nella culla e avrebbe la scusa perfetta per realizzare il suo sogno, la scissione, ma a costo zero, cioè senza pagare dazio". I renziani, ovviamente, ridono di gusto, e non solo quelli tendenza Giachetti, pronti a sbattere la porta e andarsene: "Se Zingaretti è così matto da fare un passo del genere, scoppia la rivoluzione. Un governo Pd-M5S nasce morto. Abbiamo almeno 20 senatori e altrettanti deputati che gli farebbero mancare la fiducia. E ci toglieremmo tanti sfizi". Inoltre, c’è una campagna, elettorale da fare, quella per le Europee: l’obiettivo di Zingaretti – un giorno a portata di mano, un altro giorno meno – è superare, nei voti, i 5Stelle. 

"Purtroppo – sospira un ex Pd, tendenza di sinistra, che come molti altri di Mdp e LeU voterebbe un governo simile – ora bisogna spingere sulle diversità, non sulle affinità che pure ci sono, e non solo sui diritti, ma anche sul salario minimo e sulla lotta alle ricchezze. Dopo? Dopo si vedrà". Ma dopo le Europee, che cosa può succedere? Mattarella, prima di mandare il Paese di nuovo alle urne, le proverebbe tutte, anche la nascita di una inedita maggioranza tra Pd e M5S. Già un anno fa, due big dem, Dario Franceschini e Andrea Orlando, che ieri stavano in minoranza (con Renzi) ma oggi sono in maggioranza (con Zingaretti) ci avevano sperato, ma Renzi stoppò sul nascere ogni trattativa con i 5Stelle. Zingaretti nega ogni ipotesi anche solo di entente cordiale, ma pure i sassi sanno che il suo mentore politico, Goffredo Bettini, e il suo braccio sinistro, Massimiliano Smeriglio, questa prospettiva (dialogo con l’M5S e possibile governo insieme) l’hanno apertamente teorizzata.

E nell'M5S qualcuno ci sta lavorando? Sì. Uno è Vincenzo Spadafora, che un’idea del genere l’ha sempre coltivata, e ora è tornato a suggerirla a Di Maio. L’altro è il presidente della Camera, Roberto Fico. "I simili dovrebbero stare con i simili...", diceva un anno fa. Sembra sia tornato a ripeterlo.