Ecco quindi che i nomi, è vero, sono sempre gli stessi degli anni passati. A dimostrazione del fatto che gli affari cambiano, ma le famiglie resistono. E dunque, ad esempio, ci sono i Padovano che ancora risultano egemoni su Gallipoli, o i Tornese che comandano su una vasta area nel nord-ovest del Salento. E ancora: il capoluogo è nelle mani dei clan Briganti e Pepe, mentre l’entroterra del sud Salento, tra Casarano, Parabita e Matino, è il feudo dei Montedoro, Giannelli e Scarlino.
È anche vero, tuttavia, che l’influenza dei clan «risulta ora notevolmente ridimensionata», come si legge nella relazione. «Nel periodo in esame (primo semestre 2017, ndr), nella provincia, ad eccezione di alcune frizioni circoscritte e imputabili a disaccordi interni tra soggetti appartenenti agli stessi circuiti criminali, non si sono registrati fatti di sangue ascrivibili alla criminalità organizzata. Ad ogni modo, le dinamiche criminali appaiono comunque ancora risentire dell’influenza di alcuni capi storici».
Il che non significa, quindi, che l’ombra lunga della mafia sul Salento si sia ritirata.
Tutt’altro. Emblematico, sostiene il report della Dia, appare il caso di Parabita, Copmune sciolto per sospette infiltrazioni mafiose. L’inchiesta «evidenzia molteplici caratteri distintivi delle organizzazioni criminali del posto, che affondano le proprie radici nello storico gruppo della Sacra corona unita». E tra questi caratteri, c’è la tendenza ad estendersi dai «tradizionali settori dell’illecito, all’economia legale e all’infiltrazione nella pubblica amministrazione». La verità è nei numeri: nel solo territorio di Lecce, Brindisi e Taranto, la Dia ha controllato, in sei mesi, 507 persone giuridiche e 5.320 persone fisiche, rinvenendo in 22 casi operazioni sospette (come bonifici, accrediti o altri trasferimenti di denaro). E i sequestri finalizzati alla confisca, sempre in sei mesi e nel solo territorio della provincia di Lecce, ammontano a 180mila euro.Gli affari si differenziano, dunque. Pur rimanendo, quelli “classici”, una base di guadagno fondamentale per i clan. «L’usura, le estorsioni e il mercato degli stupefacenti continuano ad essere i business più remunerativi, potendo le consorterie contare anche su efficaci collegamenti con gruppi albanesi ben organizzati». Tuttavia «nella provincia in esame si continuano a cogliere segnali di interesse da parte della criminalità organizzata per il gioco d’azzardo e per le attività legate al turismo, quali la ristorazione, le pulizie e la guardiania». La mafia fiuta gli affari. E nel tentativo di non esporsi troppo, individua i settori più ghiotti. È questo l’allarme, preoccupante, che lancia l’Antimafia.