Gioco d’azzardo e turismo:
così la mafia salentina
entra nell’economia legale

Gioco d’azzardo e turismo: così la mafia salentina entra nell’economia legale
di Alessandro CELLINI
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Domenica 11 Febbraio 2018, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 17:54
Gioco d’azzardo e turismo, ma anche affari più “classici” come droga ed estorsioni. Questi gli ambiti in cui si muove la mafia salentina. Fotografati con precisione nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia, che traccia un ritratto quantomai attuale della Sacra corona unita dei tempi modermi. Una Scu senza un vertice, ma con tanti clan autonomi, che hanno ciascuno la propria area di influenza e stanno attenti, nella maggior parte dei casi, a non pestarsi i piedi a vicenda. Affinché una fetta della grande torta dei guadagni illeciti arrivi a tutti.
Ecco quindi che i nomi, è vero, sono sempre gli stessi degli anni passati. A dimostrazione del fatto che gli affari cambiano, ma le famiglie resistono. E dunque, ad esempio, ci sono i Padovano che ancora risultano egemoni su Gallipoli, o i Tornese che comandano su una vasta area nel nord-ovest del Salento. E ancora: il capoluogo è nelle mani dei clan Briganti e Pepe, mentre l’entroterra del sud Salento, tra Casarano, Parabita e Matino, è il feudo dei Montedoro, Giannelli e Scarlino.
È anche vero, tuttavia, che l’influenza dei clan «risulta ora notevolmente ridimensionata», come si legge nella relazione. «Nel periodo in esame (primo semestre 2017, ndr), nella provincia, ad eccezione di alcune frizioni circoscritte e imputabili a disaccordi interni tra soggetti appartenenti agli stessi circuiti criminali, non si sono registrati fatti di sangue ascrivibili alla criminalità organizzata. Ad ogni modo, le dinamiche criminali appaiono comunque ancora risentire dell’influenza di alcuni capi storici».

 
Il che non significa, quindi, che l’ombra lunga della mafia sul Salento si sia ritirata.
Tutt’altro. Emblematico, sostiene il report della Dia, appare il caso di Parabita, Copmune sciolto per sospette infiltrazioni mafiose. L’inchiesta «evidenzia molteplici caratteri distintivi delle organizzazioni criminali del posto, che affondano le proprie radici nello storico gruppo della Sacra corona unita». E tra questi caratteri, c’è la tendenza ad estendersi dai «tradizionali settori dell’illecito, all’economia legale e all’infiltrazione nella pubblica amministrazione». La verità è nei numeri: nel solo territorio di Lecce, Brindisi e Taranto, la Dia ha controllato, in sei mesi, 507 persone giuridiche e 5.320 persone fisiche, rinvenendo in 22 casi operazioni sospette (come bonifici, accrediti o altri trasferimenti di denaro). E i sequestri finalizzati alla confisca, sempre in sei mesi e nel solo territorio della provincia di Lecce, ammontano a 180mila euro.
Gli affari si differenziano, dunque. Pur rimanendo, quelli “classici”, una base di guadagno fondamentale per i clan. «L’usura, le estorsioni e il mercato degli stupefacenti continuano ad essere i business più remunerativi, potendo le consorterie contare anche su efficaci collegamenti con gruppi albanesi ben organizzati». Tuttavia «nella provincia in esame si continuano a cogliere segnali di interesse da parte della criminalità organizzata per il gioco d’azzardo e per le attività legate al turismo, quali la ristorazione, le pulizie e la guardiania». La mafia fiuta gli affari. E nel tentativo di non esporsi troppo, individua i settori più ghiotti. È questo l’allarme, preoccupante, che lancia l’Antimafia.
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