Così il verbo del boss arrivava agli affiliati

Così il verbo del boss arrivava agli affiliati
di Mario DILIBERTO
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Martedì 26 Febbraio 2019, 09:16 - Ultimo aggiornamento: 09:29

Il verbo del boss Cagnazzo arrivava agli affiliati della Sacra corona unita made in Jonio grazie ai pizzini. Come il capo dei capi, anche il mammasantissima del clan di Lizzano continuava a comandare la sua cosca scrivendo ordini sui bigliettini. Messaggi che, secondo i carabinieri, riusciva persino a far uscire dalla sua cella nel carcere di Prato, dove è ristretto dai tempi della retata battezzata The old, penultima tappa della saga della mala della provincia orientale scritta a suon di manette.
L'ultimo capitolo, per ora, l'hanno illuminato sempre i carabinieri con il blitz scattato all'alba di ieri. Con una pioggia di arresti che ha travolto la costola della quarta mafia, che da sempre alligna e comanda a Lizzano, ma anche nei comuni vicini. Una nuova ondata che ha raso al suolo l'ennesima riorganizzazione della potente organizzazione, che, hanno spiegato gli investigatori, vede nella plancia di comando Giovanni Giuliano Cagnazzo. Una piovra dai numerosi tentacoli alla quale ieri i militari ritengono di aver reciso gangli vitali. Ventisei i provvedimenti restrittivi eseguiti dai carabinieri, 19 in carcere e due ai domiciliari, mentre per 5 indagati è stato disposto l'obbligo di dimora. Altre cinque misure sono state notificate come punto di arrivo dell'indagine Satellite.
All'alba di ieri, quindi, ha preso il via l'operazione denominata Mercurio dal nome del messaggero degli Dei. Un ruolo che nel caso del boss era svolto da Maria Schinai, compagna di una delle figure ritenute vicine al clan, ma non invischiata in questa indagine. Un piccolo esercito di 150 carabinieri, condotti sul campo dal colonnello Luca Steffensen, comandante provinciale dei carabinieri, e dal capitano Sergio Riccardi, comandante della compagnia di Manduria, ha eseguito i provvedimenti restrittivi spiccati su richiesta della Dda di Lecce. All'operazione hanno preso parte anche gli uomini del nucleo cinofili di Modugno e lo squadrone Cacciatori Puglia, mentre la vera e propria caccia all'uomo è stata sorvegliata dall'alto dall'elicottero dell'Arma.
La task force ha agito in una vasta parte della provincia, con provvedimenti restrittivi e perquisizioni effettuate a Lizzano, ovviamente, ma anche a Faggiano, Torricella, Sava e Maruggio. Alcuni arresti sono stati messi a segno anche lontano da Taranto, e precisamente a Rimini, Caltagirone e a Prato.
Lo squadrone dei Cacciatori è intervenuto nelle perquisizioni ritenute più ostiche. Gli esperti delle irruzioni, ha raccontato il comandante Steffensen, «hanno scovato un cunicolo nascosto da una botola» nella casa di uno degli indagati. Una via di fuga che non è servita a sfuggire alle manette ma che da sola spiega il livello di organizzazione del clan.
Sul boss e i suoi uomini sono piombate le contestazioni di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti, alla spendita di banconote false, e estorsione ai danni di stabilimenti balneari e di altre attività commerciali di Lizzano. Accuse alle quali vanno sommate, a vario titolo, quelle di detenzione e porto illegale di armi, rapina e lesioni personali. Imputazioni che racchiudono il marchio di fabbrica del clan, in grado di imporre la sua legge sul territorio. L'indagine deflagrata ieri con la raffica di arresti ha preso il via tre anni fa. Il punto di partenza sono stati alcuni arresti avvenuti all'epoca a Lizzano, epicentro del terremoto investigativo sotto il quale ieri è crollato il sodalizio. Nel gennaio del 2016, infatti, i militari della locale stazione dei carabinieri intercettarono un giro di spaccio di eroina e hascisc. Da quel momento ha preso il via un accurato lavoro di intelligence fatto di appostamenti e controlli con il quale si è riusciti ad individuare un gruppo dedito al business degli stupefacenti federato alla Sacra corona unita. E in particolare alla frangia già inquadrata in passato con alla guida il boss crispianese Francesco Locorotondo e i fratelli Giovanni Giuliano Cagnazzo e Cataldo Cagnazzo.


Un clan che, nonostante l'offensiva dei carabinieri, ha mantenuto salde le sue radici, in particolare nel redditizio affare dello spaccio di stupefacenti.
Ma non solo. Perché l'organizzazione avrebbe incamerato denaro anche dal racket delle estorsioni ai danni di attività commerciali e stabilimenti balneari. Con un pizzo tra i diecimila e i ventimila euro, richiesto ai lidi della litoranea per l'intera stagione estiva. Un obolo alla legge del clan, che ieri, però, è stata frantumata dalla Legge. Quella vera.

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