Mafia, i tentacoli allungati da 3 gruppi: condannati in 43

Mafia, i tentacoli allungati da 3 gruppi: condannati in 43
di Lino CAMPICELLI
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Giovedì 26 Ottobre 2017, 05:35
Quarantatrè condanne e cinque assoluzioni piene, compresa quella del titolare del negozio “Mister Toys”, rappresentano la sostanza di un processo che conferma come il capoluogo jonico abbia dovuto sopportare, ancora una volta, l’ambizione di una malavita che non si è rassegnata a restare ai margini, nonostante arresti, sentenze e condanne.
La riprova sta nel ruolo di primo piano rivestito ancora da Cosimo Di Pierro, nome storico della mala tarantina ed esponente di punta delle affiliazioni a un clan, quello dei Modeo, sbriciolatosi nel tempo. La forza di Di Pierro, condannato ieri dal gup di Lecce Antonia Martalò a 20 anni di reclusione, è stata come quella che in mitologia raffigura il ruolo dell’Araba fenice rinata dalle sue ceneri. Considerato per anni ai margini della scena criminale jonica, però, Di Pierro non ha mai smentito se stesso.
Diversamente dal mito greco che raccontò la rinascita “dell’uccello infuocato”, infatti, Di Pierro non avrebbe trovato linfa da condotte diverse dal passato ma le avrebbe reiterate, al punto di diventare il capo di un presunto gruppo mafioso che guardò a Taranto come “città nostra”: sua e dei suoi adepti.
Un presunto gruppo che la distrettuale antimafia salentina, guidata dai pm Alessio Coccioli e Lanfranco Marazia, hanno individuato, monitorato e colpito nel momento più alto della sua ascesa.
 
La prima presunta associazione a delinquere, capeggiata da Di Pierro, «innalzato» prima al grado di «santa» e poi di «vangelo», sarebbe stata coadiuvata da Ignazio Taurino, Mimmo e Pasquale De Leonardo: ne avrebbero fatto parte - secondo la tesi sostenuta dall’accusa - anche Daniele Angelini, Calogero Bonsignore, Giuseppe Cantore, Massimiliano Cocciolo, Giuseppe e Massimo D’Addario, Luigi Giangrande, Emanuele Giannotta, Cosimo Inerte, Riccardo La Barbera, Tommaso Liuzzi, Valentina Loperfido, Francesco Mancino, Davide Montella, Luana Rossano, Andrea Sansone ed Erminia Terrasi. Secondo la prospettazione accusatoria, il presunto gruppo avrebbe puntato ad «acquisire direttamente o indirettamente la gestione e/o controllo di attività economiche nei più svariati settori».
Nella mappa delineata dalla Distrettuale antimafia, una seconda, presunta associazione sarebbe stata diretta da Gaetano Diodato e si sarebbe fondata sull’apporto di Francesco De Santis, Angioletto Di Pierro (figlio di Cosimo) e Piergiuseppe Pontrella. Un terzo presunto clan, che pure fu smantellato nel corso di un imponente maxi-blitz, sarebbe stato composto da Nico Pascali, Egidio De Biaso, Cristian Galiano e Cosimo Marinò.
Erano invece accusati di concorso esterno in associazione mafiosa Francesco Micoli, che avrebbe messo a disposizione dei clan Di Pierro e Pascali «cognizioni tecniche e strumentazione idonea all’individuazione di eventuali microspie», e Antonio Ciaccia, il quale, pur non essendo organico al clan Di Pierro, «si offriva di arruolare giovani fidati per svolgere ruoli di manovalanza nell’ambito dell’associazione» e «di reperire e consegnare cartucce per pistola». Nel “calderone” del procedimento erano coinvolti fra gli altri Umberto Nigro (per tentato omicidio nei confronti di Mimmo Di Pierro), Fabrizio Nigro (per estorsione ai danni di commerciante), Cosimo Nitti (per tentata estorsione), Gabriele Pignatelli (per detenzione e porto di ordigno esplosivo destinato all’attentato ai danni di Angelo Cellamare ed estorsione ai danni della farmacia Vitiello), Davide Sudoso (per tentata estorsione).
Ciaccia è stato assolto del tutto, mentre per Ignazio Taurino (difeso dagli avvocati Salvatore Maggio e Gaetano Vitale) è caduta l’aggravante di essere stato promotore del presunto gruppo. Infine sono stati assolti Egidio Turbato (difeso dagli avvocati Pasquale Blasi e Maggio) e Nigro (difeso dagli avvocati Marino Galeandro e Maggio), ma solo per il tentato omicidio.
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