Cronaca

Migranti, la battaglia navale nel Mediterraneo, così si ostacola il lavoro delle Ong

Occultamento degli sos, trappole e depistaggivi: l'asse Roma, Tripoli, Malta per evitare che i profughi fuggiti dalla Libia finiscano a bordo delle imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie

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A BORDO DEL VELIERO ASTRAL - Mancano solo i colpi di mortaio e la contraerea. Per il resto, quella che si può vedere da qui, dal ponte di comando della Astral, il veliero di Open Arms che assiste questa prima missione italiana nel cuore del Mediterraneo, assomiglia in tutto e per tutto a una piccola, insensata, battaglia navale. Una paradossale miniatura di guerra, con le ong internazionali da una parte e un’inconfessata ma piuttosto evidente alleanza sull’asse Roma-Tripoli-Valletta dall’altra. Lunedì mattina l’equipaggio del Mare Jonio che pattuglia una zona di mare lontana 80 miglia dalla Astral è stato svegliato di buon’ora dal volo indiscreto di un Seagull, un aereo dell’operazione europea Sofia (l’iniziativa di pattugliamento anti trafficanti) che continuava a sorvolare il rimorchiatore a bassa quota. Dopo alcuni minuti, via radio, è cominciato uno strano interrogatorio, con il pilota che chiedeva tutti i dati dell’imbarcazione, dell’equipaggio, della rotta, persino dell’agenzia marittima a cui era appoggiata la logistica dell’imbarcazione. “Mancavano solo il segno zodiacale e il colore preferito del comandante”, scherzano dal ponte raccontando l’accaduto.

Domenica mattina più o meno alla stessa ora gli ospiti dell’Astral – tra cui, occasionalmente, la manciata di giornalisti internazionali al seguito del Progetto Mediterranea – erano stati sorpresi dal frastuono di un Hercules dell’aeronautica spagnola in missione Sar (search and rescue) che ha passato due ore buone a volare a bassa quota in cerchio intorno alle quattro imbarcazioni che in quel momento partecipavano alla spedizione italiana (oltre al veliero Astral e al rimorchiatore Mare Jonio c’era lo Jana, un Bavaria 50 a vela, mentre il Burlesque, la quarta imbarcazione, era tornato a terra per sbarcare una troupe di Bbc). Che tipo di attività abbiano svolto per davvero i due aerei militari non è immaginabile. Sia gli attivisti di Open Arms sia quelli di Mediterranea danno per scontato che si sia trattato di manovre ostili e dal sapore vagamente intimidatorio.

“Scattano foto e girano video”, spiegano, “vogliono documentare, per qualsiasi evenienza, i movimenti delle imbarcazioni in acque di competenza libica”. Le informazioni, a quanto pare, sono infatti l’arma d’elezione di questa strana battaglia. Il cui ultimo obbiettivo, contrariamente a quello che si possa pensare, non è evitare che i migranti raggiungano le coste europee, ché questo – come gli italiani hanno avuto modo di documentare in questi pochi giorni di missione - accade quotidianamente: per dire, quattro giorni fa, a nemmeno dieci ore dalla partenza, la Burlesque, aveva incrociato un barchino – quello, sì, un vero “taxi del mare” – che trasportava tranquillamente una quindicina di persone dalla Tunisia a Lampedusa. Il vero obbiettivo della battaglia navale che si sta combattendo in queste ore davanti alle coste libiche, è piuttosto un altro. Evitare che i migranti fuggiti dalla Libia finiscano a bordo di imbarcazioni ong e che dunque si ritrovino in condizione di testimoniare cosa accade quotidianamente da questa parte del Mediterraneo.

A tale scopo - spiega Riccardo Gatti, comandante italiano della Astral – si prodiga quotidianamente la suddetta alleanza, dispiegando in acqua tutto un sofisticato armamentario di informazioni e disinformazioni, rimandi e trappole via radio, che servono semplicemente a ostacolare il lavoro delle ong. Una sorta di guardia e ladri, insomma, ma alla rovescia. Le tecniche sono le più svariate, sì va dall’occultamento degli sos, al depistaggio vero e proprio. In soli tre giorni di missione il giochino è riuscito già due volte, secondo quanto sono riusciti a testimoniare i giornalisti a bordo. La prima, il 5 ottobre. Quando, alle 18, il Colibrì – un aereo biposto che collabora con Sea Watch – segnala la presenza di un gommone con 20-40 persone a bordo. La Mare Jonio contatta subito il Maritime rescue coordination center (Mrcc) italiano che però non emette nessuna segnalazione di “distress”, imbarcazione in pericolo, limitandosi a dire molto prontamente che “il coordinamento dell’intervento era già stato assunto dalla Guardia Costiera libica”. Arrivati comunque sul posto (le ong internazionali non ritengono la Libia un porto sicuro) gli attivisti di Mediterranea non hanno trovato nessun gommone: era già stato riportato indietro dai libici. Cosa della quale la Mrcc italiana ha dato notizia solamente alle 22.10, quando buona parte della giornata di ricerche era stata buttata via.

Il giorno successivo, la replica. Più o meno allo stesso orario, via radio, la Mare Jonio riceve un messaggio di “distress” da Malta, a cinquanta miglia di distanza nella direzione opposta a quella in cui sta navigando. Erano mesi che Malta non inviava segnalazioni del genere. Immediatamente la nave italiana inverte la rotta. Ma dopo un paio d’ore di navigazione arriva, sempre via radio, il contrordine: la capitaneria di Malta ha già fatto l’intervento salvando 120 persone. Nel frattempo però l’intera spedizione aveva deviato dalla rotta originale di più di una ventina di miglia e aveva compromesso l’intera giornata di ricerche.

La chiave di tutto, come si vede, è cercare di non far arrivare informazioni utili alle Ong. In quattro giorni di attività la radio di bordo non ha segnalato niente, nella pur vastissima zona. Sono arrivate segnalazioni da ogni parte del Mediterraneo (una persino dalla Manica) ma dal Mar Libico, nulla. Le leggi internazionali prevedono che per ogni imbarcazione in pericolo venga emessa una comunicazione a tutti i naviganti. Consultando le sole fonti ufficiali, invece, si contano sette interventi da parte delle autorità libiche, maltesi e tunisine, ma nessun messaggio radio. “Da un lato – spiega Riccardo Gatti – c’è da rammaricarsi pensando ai tempi, nemmeno troppo lontani, in cui lavoravamo quotidianamente gomito a gomito con la Guardia Costiera italiana che ci coordinava, condivideva informazioni e si appoggiava a noi per svolgere il proprio ruolo nel Mediterraneo. Dall’altro c’è da essere contenti, era moltissimo tempo che Malta non era così attiva su questo fronte, evidentemente l’arrivo degli italiani ha risvegliato qualcuno”. Anche solo questo è già un discreto risultato.