Cronaca

'Ndrangheta, sette arresti. Avevano rapito un imprenditore per costringerlo a pagare il pizzo

Reggio Calabria, la vittima, poi ricomparsa, non aveva denunciato. Solo di fronte alle indagini avviate ha cominciato a collaborare

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REGGIO CALABRIA -  Per costringere un imprenditore a pagare, lo hanno sequestrato e portato al cospetto di chi quella "tassa" l'aveva ordinata. Per questo motivo sette persone sono state arrestate all’alba dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, con l’accusa di sequestro di persona e tentata estorsione, entrambi aggravati dalle modalità mafiose. L’indagine, coordinata dal procuratore capo della Dda Giovanni Bombardieri, è stata rapida. L’episodio risale al 30 dicembre scorso. Una sera piovosa, fredda anche in riva allo Stretto. Alle 8 di sera però, di fronte alla pizzeria della compagna dell’uomo c’erano comunque diversi clienti. In più, c’erano i dipendenti del locale. E i figli della donna, di 7 e 10 anni. Ma nulla ha fermato i tre uomini che hanno avvicinato l’imprenditore e poi, strattonandolo, lo hanno costretto a salire su un’auto. Dall’interno della pizzeria, la sua compagna non ha assistito alla scena. Ad allarmarla sono state le urla dei bambini, che hanno visto l’uomo trascinato via a forza e hanno gridato per avvertire la madre. Preoccupata, la donna ha chiamato la polizia. Agli agenti non ha nascosto nulla. Ha raccontato che il compagno era stato portato via e di aver riconosciuto uno degli aggressori, Francesco Belfiore. Una vecchia conoscenza per gli investigatori, che lo considerano vicino al clan Libri.

Subito sono partite le ricerche, mentre la Squadra mobile iniziava a lavorare sui filmati delle videocamere di sorveglianza della zona per tentare di identificare gli autori del sequestro. Le attività di indagine erano ancora in corso, gli agenti stavano ascoltando i testimoni per tentare, nonostante le reticenze, di ricavare elementi utili per le ricerche, quando l’uomo è riapparso. “Scortato” da diversi soggetti e visibilmente terrorizzato, ma determinato a non proferire parola alcuna sull’accaduto. Nessuna accusa, nessuna spiegazione. Al contrario ha tentato di negare persino di essere stato portato via con la forza, per questo, dopo essere stati identificati e ascoltati, gli uomini che lo accompagnavano sono potuti andare via.

Solo dopo giorni di indagine sviluppata senza alcun tipo di collaborazione da parte della vittima, quando gli investigatori sono riusciti a ricostruire il quadro della vicenda, l’uomo l’imprenditore ha fatto delle parziali ammissioni. «Voglio denunciare come sono andati effettivamente i fatti la sera del 30 dicembre 2018 e chiedo che si proceda nei confronti di coloro che se ne sono resi autori» ha detto, dopo essersi presentato spontaneamente in Questura. Ancora spaventato, l’uomo ha confermato di essere stato preso di peso e portato via, ha raccontato degli inutili tentativi di aprire lo sportello dell’auto, delle minacce ricevute. All’origine di tutto, ha spiegato, c’era un debito di poche decine di euro con un vecchio dipendente, un pizzaiolo che aveva lavorato in prova al locale per meno di un mese.
Sullo stipendio concordato di 800 euro, nel corso delle settimane, su sua richiesta gliene sono state versate 750, divise in vari acconti. È stato lui a rivolgersi a Belfiore, considerato il “responsabile” di zona, per rivendicare quelle 50 euro residue. Ma quel debito è diventato un pretesto per estorcere una somma decisamente più alta. “Questo episodio - commenta il capo della Squadra Mobile, Francesco Rattà – è sintomatico di una mentalità sbagliata e deviante: per un torto subito non ci si rivolge alle istituzioni o ad un avvocato, ma a chi viene considerato il capo di zona”.  Così si definiva Francesco Belfiore, il capo del gruppo che per intimidire l’imprenditore, durante il tragitto in auto, non ha mai smesso di ripetergli «Io sono il capo di San Cristoforo, o paghi o ti sparo in testa”.
 Per dimostrare “efficacia” e controllo del territorio e di chi lo abita, Belfiore e i suoi hanno sequestrato l’imprenditore per portarlo “al cospetto” del creditore e della sua famiglia, per poi farsi garanti di un immediato pagamento. Ma i loro progetti sono andati in fumo. Tornati in pizzeria per prelevare i contanti hanno trovato gli agenti. Il silenzio della vittima ha garantito loro un mese di libertà, ma questa notte sono finiti in manette.

 “Cose del genere sono inammissibili – dice il procuratore capo della Dda, Giovanni Bombardieri – abbiamo lavorato per dare una risposta rapida, quasi immediata. Abbiamo voluto dimostrare che quando, anche a stento, c’è collaborazione da parte della vittima lo Stato è in grado di proteggerla e individuare i responsabili di minacce e danneggiamenti”. Un riferimento, neanche troppo velato, ai silenzi ostinati delle vittime di intimidazioni ed episodi estorsivi. Da mesi ormai, fra Reggio Calabria e Villa San Giovanni vanno a fuoco saracinesche e locali e si registra una crescente tensione. Ma solo di rado inquirenti e investigatori possono contare su elementi utili forniti dalle vittime.