Cronaca

Il commento

Il ministro e lo spot che aiuta le mafie

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“Vincisalvini” è la risaputa sceneggiata inscenata ieri sul web dal Ministro dell’Esterno per raccattare like e far infuriare (parole sue, non inedite) i cosiddetti giornaloni. Siccome il primo premio è una telefonata con lui, pare si siano iscritti molti suoi dipendenti: sarebbe l’unico modo per parlargli tra un tweet e l’altro. Come gli capita sempre più di frequente, però, la televendita è stata sommersa da una salva di sberleffi virtuali, invalidando l’ennesimo diversivo dalle ambasce dei Siri, dei Fontana, financo dalla figura di palta rimediata l’altra sera a Otto e Mezzo per mano di una Lilli Gruber alquanto implacabile.

L’altra e più potente arma di distrazione di massa è rappresentata dall’assurda crociata contro i negozi che vendono cannabis depotenziata, aperti da alcuni mesi grazie a una legge che lo stesso Salvini votò insieme a tutti i colleghi deputati di ogni schieramento. Sostenere che quella sia droga è in primis una importante falsità. Ma anche, se non soprattutto, un favore alle mafie, perché riconduce ogni lavorazione della marijuana (tranne quella prodotta dall’Istituto Farmaceutico Militare, che purtroppo non basta a soddisfare i bisogni dei malati oncologici) alle mani della criminalità organizzata.

Salvini, prima di essere sbalzato altrove da complicati calcoli elettorali, era stato eletto senatore in Calabria. Dove la ‘ndrangheta “fattura” ogni anno 53 miliardi di euro grazie al proibizionismo. Com’è ovvio, l’assist del Ministro a chi detta legge nei suoi collegi non è una mossa deliberata. Non c’è alcun do ut des. Resta che ieri, tra chi festeggiava la mossa elettorale di scagliarsi contro il nulla c’era sicuramente qualcuno che non ha bisogno di partecipare a #vincisalvini: perché tanto, da noi, #lamafiavincesempre.