Cronaca

Smantellata potente rete di 'ndrangheta. Gratteri come Falcone: "Uno come lui è a rischio", dicono nelle intercettazioni

Trentacinque arresti a Crotone. Le accuse sono anche relative a droga, usura e porto illegale di armi

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CATANZARO. Dell’esercito di turisti che in estate affollavano il litorale fra Catanzaro e Crotone, l’unica a beneficiarne era la ‘ndrangheta. Lo ha scoperto la procura antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, che ha ordinato il fermo di 35 uomini, tutti ritenuti affiliati o vicini alla locale di San Leonardo di Cutro, una costola del potente clan Grande Aracri, fino ad oggi mai individuata.

È questo il risultato di un’inchiesta, che sembra dar ragione alle preoccupazioni di picciotti e gregari del clan, che – ascoltati dagli investigatori – parlano del procuratore Gratteri come della loro personale bestia nera. “Sono convinto che lui ne fa arrestare di cristiani – dice Franco Falcone, uno degli uomini di vertice del clan - però (…) uno di questi è ad alto rischio ogni secondo”. Non si tratta di un progetto di attentato ai danni del magistrato, chiariscono gli investigatori. Ma quasi una constatazione. Gratteri per loro è come Giovanni Falcone “quando ha superato il limite – li si ascolta dire – se lo sono cacciato”.
Al clan di San Leonardo di Cutro, Gratteri fa paura. Ma probabilmente non hanno la forza o il potere criminale per immaginare un’azione contro di lui. Altri, che neanche osano nominare, però potrebbero, così come facilmente potrebbero scoprire il domicilio del procuratore, riservato per motivi di sicurezza. “Volendo, non lo scoprono?!” commentano. Ma – si legge nel fermo – allo stato sembrano solo commenti di boss e luogotenenti preoccupati per l’arrivo a Catanzaro del procuratore e che per questo adottano una serie di “misure di sicurezza”.

Evitano sempre di più di parlare al telefono e incontri compromettenti, usano toni sommessi, moltiplicano le bonifiche, monitorano in modo quasi militare il territorio anche grazie ad un sistema di vedette. Precauzioni sostanzialmente inutili. Inquirenti e investigatori sono comunque riusciti a ricostruire non solo la struttura, i componenti e i rapporti all’interno del locale di San Leonardo, ma anche tutta la filiera dei milionari affari. Principale ramo di business dei leonardesi erano i villaggi turistici, sottoposti a estorsioni a tappeto, obbligati ad assumere personale e comprare prodotti solo su precisa indicazione. A denunciarlo sono stati gli imprenditori, che stanchi delle vessazioni dei clan, negli ultimi anni hanno iniziato a indicare i propri aguzzini. Ma per lungo tempo, il fiorente turismo della zona è stato per loro una miniera d’oro. I soldi così ricavati venivano reinvestiti in altre attività della zona: ristoranti, stazioni di rifornimento di carburante, ditte di costruzioni. Tutto è finito sotto sequestro e il valore – 30 milioni di euro – è da capogiro.

Ma il clan Trapasso, che del locale di San Leonardo è il cuore, non ha mai disdegnato neanche l’economia illegale. Attivi nel traffico di droga fin dagli anni Novanta, quando in zona avevano aperto e gestivano una vera e propria raffineria di eroina, nel tempo hanno diversificato gli investimenti e puntato anche sullo spaccio. Il vero business è diventato la cocaina, acquistata dai clan di Vibo, Catanzaro e Reggio Calabria, e poi insieme ad hashish ed eroina, piazzata attraverso una rete vasta e ramificata che si estendeva da Crotone alla provincia di Cosenza.