Liliana Segre: "Con tutto l'odio che c'era allora e che rivedo oggi sono contenta di essere stata vittima e non carnefice"

La senatrice a vita, 88 anni, sopravvissuta ad Auschwitz ospite all'Arena Robinson intervistata da Simonetta Fiori. Platea fittissima, piena di ragazzi. "Mattarella che grande presidente!" dice e sul ciber-bullismo ha una sua teoria: "Le persone prese di mira ce la possono fare ma sono loro, i bulli, gli odiatori che mi fanno più compassione: sono persone che non sono mai state amate". Però contro di loro ha presentato una proposta di legge

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La signora cammina con prudenza e cautela, attorniata da una folla di fan, la gran parte ragazzi. E' il segnale migliore, la gioventù del suo pubblico, che sancisce che i quasi trent'anni  di Liliana Segre spesi a testimoniare cosa è stato il Male assoluto - l'essere bambina ebrea che a 8 anni le è stato vietato lingresso a scuola e poi il campo di Fossoli, poi la deportazione ad Auschwitz e la decimazione della famiglia - ha colto il cuore dei giovani più preparati, e lei lo capisce, si definisce nonna di tanti nipoti e si rallegra di tanta attenta partecipazione poco più che adolescenziale.

Della nonnina ha solo l'età, 88 anni, ma è donna d'acciaio, lucida e diretta. Ad esempio, alla giornalista Simonetta Fiori che glielo chiede, a 80 anni dall'emanazione delle leggi razziali scandisce questa risposta. "Sì, esiste un filo comune tra il razzismo che cominciò a inquinare una paese bonario e tollerante come l'Italia allora e quello che accade nei nostri giorni: Allora in pochissimi fecero una scelta diversa, dissero no al fascismo che montava, erano come eroi. Poi, dopo la guerra, dopo la tragedia degli ebrei, si scoprì che praticamente nessuno era stato fascista, c'era stata una sorta di lavaggio delle coscienze. E subito dopo la guerra i sentimenti di intolleranza non erano assolutamente di moda, a nessuno veniva più in mente di discriminare altre religioni, altre razze. Poi però il tempo è passato e questi sentimenti di fascistizzazione stanno riemergendo e stavolta nel mirino per prima cosa c'è il colore della pelle. Un' avversione, una discriminazione che evidentemente a tanta distanza di tempo viene permessa, non suscita tanto scandalo, non muove vivaci  e doverose reazioni. Di nuovo vedo complici, aguzzini e comunque tanta gente indifferente".

Aggiunge, a ulteriore chiarimento: "Quando nel '38 mio padre Alberto (internato come lei ad Auschwitz e mai più tornato ndr) mentre eravamo a tavola mi disse, 'Liliana da domani non puoi più andare a scuola', usò questa frase 'sei stata espulsa'. Potete immaginare quale siano i miei sentimenti quando risento la parola espulsione?".

Con coerenza la sua prima proposta di legge ( non sottoscritta da Lega e FdI, le ricorda Fiori ma lei sorride fredda: "mi interessa soprattutto chi è con me, non chi non c'è" ) è stata l'istituzione di una "commissione parlamentare di controllo e di indirizzo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza". Con una convinzione di fondo, netta: "Con tutto l'odio che ho visto e ho provato sulla mia carne allora e di cui rivedo segnali oggi, resto comunque contenta di essere stata una vittima e non una dei carnefice".

L'odio, gli odiatori, i bulli, gli indifferenti: sono queste le categorie di persone su cui la Segre si sofferma, stimolata anche dalla domanda di uno studente: "Perchè oggi sembra che ci sia la necessità di odiare nuovamente?". "Evidentemente la storia non ha insegnato abbastanza ma vedo anche che nei licei alla storia gli si dà un bel taglio, storia magistrae vitae dicevano i latini, non altrettanto gli italiani di oggi".

E torna il parallelo tra allora e oggi. "Le compagne di classe, le bambine che da un giorno all'altro non l'hanno più vista non le hanno mai chiesto scusa. Non le odia per questo?" la sollecita Fiori. La risposta di Segre è quasi inaspettata: "No, assolutamente, non fu colpa loro, piuttosto avrei dovuto re-incontrare i genitori delle bambine di allora alle quali obbedivano.In realtà qualcuna l'ho ritrovata una volta rientrata in Italia ma loro si limitarono a chiedermi, 'Segre, dove sei andata a finire?" senza che io avessi la forza di rispondere e spiegare. La trovai quando avevo quasi 60 anni... E non ho mai voluto sapere i nomi dei delatori, dei violenti, di chi ci ha tradito. Non ero fatta per vendette, ero sì una diversa".

Durante il suo breve discorso di insediamento da senatrice a vita, nominata dal presidente Mattarella e dal premier Gentiloni, Liliana Segre aveva ricordato di essere "una delle pochissime donne italiane ancora in vita con i numeri di Auschwitz tatuati sul braccio". I ragazzi che l'ascoltano lo sanno bene e uno di loro va diritto al punto: "Quando non ci saranno più testimoni diretti, come si potrà tenere alta la guardia, la Memoria, per contrastare razzismo e antisemitismo?", gli chiede un liceale, e lei è netta, senza indugi: "Sei tu che lo farai, sarà compito di persone come te".

Rapporto madre e figli: "Siamo cresciuti con insegnamenti un pò speciali: con passaporti sempre pronti, con cassetti traboccanti di foto di scheletri; con la paura delle ciminiere e l'impossibilità di tenere lo sguardo su un treno merci; non ci permettiamo di rifiutare il cibo, neanche se scaduto o maleodorante; non riusciamo a pronunciare la parola forno nemmeno per calcolare il tempo di cottura di una torta; fare una doccia ha un che di sinistro e il suono della lingua tedesca ci fa trasalire; ci spaventa il latrato di un cane, le cancellate, il filo spinato...". Qui parla Federica Belli, la figlia di Liliana Segre di cui  Simonetta Fiori legge un brano della sua intervista tratto dal bel libro di Fabio Isman,  "1938 Italia razzista" ma la senatrice non vuole aggiungere nulla, non ama retorica e compiacimenti.

Ha invece parole di caldo e partecipato affetto per il presidente Mattarella, incontrato venerdì alla prima della Scala: "Conosco il pubblico scaligero, sono una appassionata di opera fin dai tempi della Callas e da anni ho l'abbonamento. Sono sempre stata convinta che fosse un pubblico freddino, distaccato. E invece venerdì, quando ha visto arrivare il presidente Mattarella, uomo solo, uomo che ha sofferto, profondamente triste, che non dice parolacce, non cavalca odi e rifiuta ogni retorica, il pubblico si è sciolto in cinque minuti di fila di applausi davvero emozionanti: tutti voltati verso di lui, dichiaravano il loro amore verso un padre giusto".