Guide  |  Festival dell'Economia

L’intervista

Hoynes “Il reddito di cittadinanza ha molti punti deboli”

2 minuti di lettura
«La prima azione che un Paese dovrebbe intraprendere è quella di capire quali sono i problemi che il “reddito universale di base” può risolvere. Il problema riguarda soprattutto la povertà tra la popolazione attiva. Ma chi sono i poveri? Possono essere i pensionati, i lavoratori che percepiscono un salario basso oppure le persone che hanno perso il posto di lavoro. Per ognuno di loro, la politica deve mettere in campo soluzioni mirate». Parte da qui Hilary Hoynes, professoressa di Politiche pubbliche ed Economia e titolare della Haas Distinguished Chair in Disparità economiche all’Università di Berkeley, per introdurre il tema del “reddito universale di base” che in Italia ha assunto la differente forma del reddito di cittadinanza.
Hilary Hoynes, docente a Berkeley, esperta di disparità economiche 

Un tema a cui Hoynes dedica da anni la sua attività di ricerca nel tentativo di ridurre le disuguaglianze sociali e di reinserire gli adulti nel mercato del lavoro. La studiosa americana parlerà proprio di questo il 31 maggio a Trento, e lo farà inaugurando la serie delle lecture dedicate alla memoria di Alan Krueger, il grande economista presente a numerose edizioni del Festival, scomparso un paio di mesi fa.

Secondo lei, quali sono le politiche che uno Stato dovrebbe attuare per debellare povertà, disuguaglianze e disoccupazione?
«Dal mio punto di vista, sono due le politiche da mettere in campo: la prima, focalizzata su un periodo breve e strutturata su un programma di assistenza in denaro in grado di soddisfare le esigenze delle famiglie più bisognose. Le esigenze possono essere diverse in base alle dimensioni dei singoli nuclei familiari. La seconda, concentrata su un periodo lungo e strutturata su un programma che metta al centro il lavoro e il benessere delle persone».

Che tipo di misure fiscali possono incentivare l’inclusione attiva nel mondo del lavoro?
«Nel lungo periodo, il meccanismo del credito d’imposta sul reddito, come avviene negli Usa, può essere la soluzione migliore».

In Italia, il governo ha introdotto il reddito di cittadinanza per favorire un sostegno economico e l’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione. Qual è il suo giudizio su questa misura?
«Nella sostanza, è un provvedimento corretto perché rappresenta una politica di sostegno che avrà un impatto sulle persone più povere, visto che prima l’Italia non disponeva di un programma di assistenza in denaro di questo tipo. Tuttavia, per accedervi una famiglia deve avere un reddito inferiore a 9.360 euro, una cifra molto bassa per chi ha figli a carico. L’ammissibilità e le prestazioni della misura dovrebbero invece variare in funzione della dimensione del nucleo familiare.
Nello stesso tempo, il reddito di cittadinanza italiano nasce anche come strumento di inclusione per chi è fuori dal mondo del lavoro ma la misura, per essere incisiva, dovrebbe rispondere a diversi parametri: quanto è grande il beneficio economico del lavoro che il reddito di cittadinanza propone? In quanto tempo questo beneficio può essere fruito da chi lo richiede? Che tipo di formazione il reddito può fornire per i lavori emergenti? Quali sono le politiche attive di pre-distribuzione della ricchezza (salario minimo)? Qual è il potere di contrattazione per i lavoratori? Se un programma di assistenza sociale non risponde a questi parametri, allora è destinato a non raggiungere l’obiettivo: perché di fatto scoraggia le persone a cercare lavoro».