Economia

Al G-20 vince Trump, nessuna condanna del protezionismo

Si chiude a Buenos Aires l'incontro tra i capi di Stato e di governo dei 20 Paesi più industrializzati del mondo. Nella firma del documento finale si parla solo di problemi che stanno emergendo sul commercio internazionale. E Lagarde lancia l'allarme debito

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ROMA - Cala il sipario sul G-20 di Buenos Aires e dietro le quinte il vincitore è il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Nel documento finale non ci sarà nessuna condanna del protezionismo, l'arma tirata fuori da Trump, quella che ha contribuito a fargli vincere le elezioni con il motto "Buy America". Perché sono state le tensioni commerciali, dazi in primis, più delle prospettive di crescita, a monopolizzare la parte economica del G20, l'incontro annuale delle economie più industrializzate del mondo. S

u un punto l'accordo è stato trovato, anche se probabilmente con molti distinguo, la riforma del Wto, l'organismo che visiona e supervisiona gli accordi commerciali tra i vari Paesi membri, oltre 160. Un accordo sul quale è regolato il 95% dei commerci internazionali, in pratica tutti. Che l'Organizzazione mondiale del commercio stia stretta ormai a molti era noto, tanto che lo stesso Wto chiedeva delle modifiche, accolte. "Per la prima volta - è scritto nel documento finale -  si riconosce che l'Organizzazione mondiale del commercio ha fallito i suoi obiettivi e dunque è necessaria una sua riforma". 

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Ma il vero fantasma che si aggirava per il G20 (oltre ai temi geopolitici) era il protezionismo. Eppure gli sherpa che hanno lavorato al documento finale, che verrà poi posto alla firma dei capi di Stato e di governo presenti a Buenos Aires, non hanno usato la parola protezionismo, anche se molti dei leader presenti hanno "preso nota dei problemi commerciali attuali". Una mezza presa di posizione, ma non una condanna tout court del protezionismo, nonostante la guerra commerciale in atto tra Stati Uniti e Cina. I Paesi del G20 si limitano a riconoscere il "contributo" del "sistema di commercio multilaterale", ma aggiungono che "non è all'altezza" per gli obiettivi di crescita e creazione di posti di lavoro. Dunque prendono atto che qualcosa non funziona.

L'altro problema è il grande debito pubblico mondiale, sul quale ha messo l'accento Christine Lagarde, presidente del Fondo monetario internazionale, che ha chiesto ai leader del G20 di allentare urgentemente le tensioni commerciali e di invertire l'aumento di dazi e tariffe, avvertendo che rischiano di rallentare la crescita globale. "La politica fiscale - è scritto nel comunicato - dovrebbe ricostruire le risorse laddove necessario, ed essere usata in modo flessibile e pro-crescita, assicurando allo stesso tempo che il debito pubblico resti su un percorso sostenibile". Il comunicato sottolinea, tra l'altro, che "la continua attuazione delle riforme strutturali migliorerà il potenziale di crescita". Almeno là dove le riforme si stanno attuando.

E gli Stati Uniti si sfilano dall'accordo di Parigi sul clima. Se gli altri partecipanti confermano il carattere "irreversibile" del patto, gli Stati Uniti ricordano in un paragrafo a parte che hanno respinto l'intesa. Un'unica promessa: assicurano che si impegneranno a favorire la "crescita economica, l'accesso all'energia e la sicurezza, a utilizzare tutte le tecnologie e le fonti di energia disponibili, nel pieno rispetto dell'ambiente". Un po' poco.
(barbara ardù)