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Scordamaglia (Federalimentare): "Esistono solo diete e stili di vita salutari o non salutari".

La minaccia delle etichette a semaforo sembra per il momento sventata. Ma il presidente di Federalimentari spiega i rischi legati a provvedimenti che pretendono di mettere al bando come sigarette alcuni cibi, che di per sè invece non sono nocivi

di PAOLA JADELUCA
La filiera agroalimentare nazionale, dall’agricoltura all’industria, è già mobilitata. Ora occorre creare un fronte comune tra i Paesi della dieta mediterranea” Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare e Consigliere delegato di Filiera Italia,  è in prima fila a dare battaglia. "Le eccellenze agroalimentari del Made in Italy, come il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma o l'Olio di oliva,  ancora una volta sotto l'attacco di iniziative scellerate che prediligono sistemi di etichettatura ingannevoli e nocivi per il consumatore e per tutto il comparto alimentare italiano".
 
Ma in fondo etichette chiare, trasparenti, non sono una maggiore garanzia per il consumatore?
“Certo, ed è per questo che l’industria alimentare italiana ha precorso i tempi introducendo indicazioni nutrizionali in etichetta ancora prima che fossero norme di legge.  Ma l’informazione chiara e trasparente è cosa ben diversa da quella che ora si propone, e cioè etichette che bollano come insalubri alimenti che contengono al loro interno anche grassi e sali. Questo non significa informare il consumatore, sono piuttosto metodi ingannevoli che inducono chi acquista a penalizzare l’alta qualità dei prodotti italiani".
 
Ma il consumatore deve sapere quanto sale ingerisce, quanto zucchero, quanti grassi.
"Già oggi esistono chiare istruzioni in tal senso e il Governo italiano, insieme a tutta la filiera, sta lavorando per rendere queste informazioni ancora più semplici ed intuitive, ma senza disinformare.  E’ inaccettabile che si stia facendo passare il messaggio che esistano cibi salubri e cibi non salubri, mentre la verità è che esistono solo diete e stili di vita salutari o non salutari. Ormai è risaputo che la dieta migliore è quella italiana, un regime che contiene tutti i cibi in modo equilibrato. Non è un caso che sia proprio l’Italia  il secondo Paese al mondo per longevità dietro il Giappone ed il terzultimo per obesità, meglio di noi solo Giappone e Corea.
 
Sembrava una battaglia vinta e chiusa. Brasile, Francia e altri cinque paesi hanno riaperto la questione. Ora il no delle multinazionali sembra preannunciare un nuovo stop da parte dell'Onu.
"Nel riaprire la questione c’è stata evidente malafede. Malafede perché  nel momento in cui il più alto organo politico dell’Onu, i capi di stato e di governo, prende una decisione estremamente importante come quella di contrastare le malattie non trasmissibili aumentando la consapevolezza, l’educazione alimentare e cancellando una serie di termini che avrebbero avuto un effetto controproducente,  nel press release dell’’Onu, qualcuno dell’Oms ha fatto apparire conclusioni diverse da quelle che erano state elaborate. Questa è evidentemente malafede. La malafede di chi vuole proporre un modello che avvantaggerebbe i prodotti riformulati con ingredienti chimici in sostituzione agli ingredienti naturali. ”
 
Una perdita di tempo e di soldi, dunque?
“Esatto,ed è per ciò che siamo indotti a pensare che dietro questo attacco ci siano gli interessi commerciali di chi non può vantare prodotti naturali di eccellenza come l’Italia e teme lo straordinario successo dei prodotti italiani. È necessario che l'Oms smetta di sostenere posizioni ideologiche e cosa più grave, nella maggior parte dei casi, prive di evidenze scientifiche, posizioni che finiscono con il danneggiare filiere agroalimentari di milioni di aziende difendendo  l’interesse di quei pochi che vendono prodotti riformulati con claim miracolistici in etichetta. Ribadisco non servono bollini o etichettature che mettano in guardia rispetto a specifici cibi, ma è necessario educare il consumatore alla consapevolezza alimentare ed al corretto stile di vita promuovendo iniziative di sensibilizzazione e comunicazione, non certo avvisi macabri e ingannevoli".
 
Si può calcolare l’impatto negativo di eventuali etichette che terrorizzano la gente come per le sigarette?
 
“Uno studio dell’Abia, l’Associazione brasiliana dell’industria alimentare, ha calcolato che se tali misure venissero adottate in Brasile, andrebbero persi 1,9 milioni di posti di lavoro nel settore industriale e le esportazioni calerebbero di 1,5 miliardi di dollari. Pensiamo di riportare questi dati in Italia dove l’agroalimentare, con i suoi 140 miliardi di fatturato e 400 mila impiegati, rappresenta il secondo settore manifatturiero del Paese. Secondo una ricerca Nomisma, nel 2017 le esportazioni del cibo  'Made in Italy', sammontano, in valore, a oltre 40 miliardi di euro, con un incremento del 7% sul 2016, incremento trainato dai formaggi (+11%), dal vino (+6%), dalla cioccolata (+20%) e dai prodotti da forno (+12%). Sempre secondo Nomisma, l’introduzione delle etichette a semaforo nel solo Regno Unito ha determinato un crollo del 13% delle importazioni di prosciutti e formaggi. Per capire la gravità del fenomeno dobbiamo pensare che se sui nostri prodotti dovessero essere applicate in tutto il mondo queste etichette terroristiche il crollo del 13% traslato sul totale dell’export equivarrebbe ad una perdita di  5,2 miliardi”
 
A fine anno scade il suo mandato in Federalimentare
“Un quadriennio esaltante in cui con Expo 2015 abbiamo conquistato il mondo con il  modello alimentare italiano. Ora abbiamo lanciato una nuova sfida, Filiera Italia, un modo nuovo di rappresentare l’intera filiera agroalimentare italiana. Nessun inutile conflitto tra le varie fasi della filiera, ma valori unici e condivisi con chi crede che le nostre eccellenze alimentari non sarebbero  tali senza i nostri territori la nostra agricoltura e la nostra straordinaria industria di trasformazione”.

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