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Influencer, la prova della verità: barare è un boomerang

#inTendenza Sono diventati un potente fenomeno di marketing. Ma oggi i consumatori sono sempre più attenti ed esigenti anche nei loro confronti

di CRISTINA LAZZATI*
Gli influencer sono tra di noi, scattano foto, instagrammano la loro vita, i loro figli, ciò che mangiano, ciò che indossano. Un fenomeno che ha un tale peso da essere entrato a far parte nella grande famiglia del marketing.
 
Che cosa pensano i consumatori dell’influencer marketing? Questa è la domanda che si è posto The Influencer Marketing 2020, il report che è andato a misurare quanto gli influencer “influenzano” sul serio consumi e acquisti e chi sono i più attratti da questa recente forma di marketing che, se vogliamo fare dei distinguo, a sua volta, afferisce al content marketing, cioè a quelle informazioni che sono d’interesse per il fruitore ma che fanno luce, stimolano, coinvolgono su un determinato tema caro anche a chi sponsorizza tale contenuto.
 
I Millenials sono sicuramente i più sensibili agli influencer. Il 61% di loro infatti dichiara di aver preso decisioni d’acquisto in base a quanto condiviso da un influencer.
 
Però non tutti gli influencer sono uguali, ben il 21% preferisce quelli di medio livello, il 18% i top, mentre il 15% punta ai micro, quelli iperspecializzati. Il motivo? Perché sono ritenuti più “veri” e più vicini ai temi che trattano. Contenuti troppo “rifiniti”, foto troppo belle allontano un pubblico alla ricerca di una comunicazione tra pari. Infine, più del 40% apprezza gli influencer che coinvolgono i loro follower in una conversazione. In sintesi, quelli che scendono dal piedistallo dei vip o, meglio ancora, che non ci sono mai saliti.
 
Sono il 28% i consumatori che dicono di essere passati subito all’azione, comprando un prodotto indicato da un influencer. L’arma segreta è, per il 61%, la capacità di questi di scoprire brand poco conosciuti, di nicchia. Ovviamente una buona parte (55%) dichiara di ispirarsi ad essi per mettere in campo nuovi look o per sperimentare nuovi stili.
 
La parola d’ordine per diventare un influencer di successo è “autenticità”, seguito dall’etica e solo terza arriva l’estetica. In particolare, l’essere autentici piace ai più giovani, infatti, il già abbondante 44% dei Millenials diventa 77% per i Centennials  (sotto i 25 anni); così, il perorare “buone cause” deve essere condotto in maniera consistente e credibile, quindi, non basta un hashtag ogni tanto.
 
Siamo sempre nell’apprezzamento di ciò che è reale quando il 79% dice di preferire un influencer a una celebrità, sempre ammesso che in qualche modo sia palese un’affinità con essa (70%).  Inoltre, con gli influencer ci deve essere una vicinanza, no quindi a modelli irraggiungibili, cuoche perfette, look da rivista patinata, scatti professionali, in sintesi, se quello che mostrano sono vite da cartolina tanto vale ricominciare a guardare la pubblicità.
 
Ultimo punto, ma non trascurabile: una forte richiesta di maggiori controlli sulle attività degli influencer, no ai fake follower, no alle pubblicità mascherate, anche in questo caso vince la trasparenza, più apprezzata. Oltre al soggetto stesso è richiesto ai brand, che lo sponsorizzano, di verificarne l’autenticità; insomma, se l’influencer bara, non solo fa male a se stesso ma anche ai brand che rappresenta: il classico effetto boomerang.

*direttore Markup e Gdoweek

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