Esteri

Stampa sotto assedio, la lotta dall'esilio di Yavuz Baydar contro Erdogan: "In Turchia 191 media chiusi"

Il direttore del sito Ahval domenica al teatro Brancaccio tra i relatori del convegno di Repubblica

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Istanbul - Com’è avvenuta in Turchia la demolizione dei giornali? Quel progressivo svuotamento e annullamento del sistema dell’informazione che ha portato il 95 per cento dei media sotto l’ombrello del governo Erdogan? Non c’è persona forse più esperta nel rispondere a questa domanda, oggi, di Yavuz Baydar. Che lo farà domani, di persona, in dialogo al Teatro Brancaccio a Roma.

Giornalista da quarant’anni, Baydar è stato l’ombudsman, cioè il garante per i lettori, prima per Milliyet, dal 1999, e poi per Sabah. Quando quest’ultimo quotidiano, nel 2014, abbandonò la propria indipendenza per essere acquisito dal fratello del genero di Erdogan, e Baydar continuò a pubblicare commenti critici sullo stato del giornalismo e su come venivano fabbricate le notizie, fu costretto a dimettersi. «Lavorare in un ambiente professionale duro ha i suoi costi», dice oggi con una buona dose di ironia.
Per giunta, era pure editorialista di Zaman, il quotidiano di riferimento di Fethullah Gulen, l’imam turco considerato da Ankara l’ispiratore del golpe fallito del 2016. E come columnist Baydar si faceva leggere, eccome, con analisi precise, senza guardare in faccia ai potenti, per il puro dovere di informare. «Per me il giornalismo, come per alcuni colleghi in Turchia, è sia una battaglia per informare il pubblico da un punto di vista indipendente, sia una lotta per esercitare un diritto fondamentale come la libertà di espressione, in una società in cui i politici odiano la tolleranza per la critica e il dissenso».

Vive in esilio da quasi tre anni, prima in Italia e dopo in Francia. Giornalista di impronta anglosassone, studi di informatica e cibernetica all’Università di Stoccolma, con la Arab publishing house di Londra ha fondato il sito indipendente Ahval, di cui è direttore, sviluppato in inglese, turco e arabo. Naturalmente in Turchia Ahval è bloccato. Amico del premio Nobel per la Letteratura, Orhan Pamuk, tiene i contatti con una larga pattuglia di intellettuali, la maggior parte dei quali, come lui, si trova fuori dai confini patri.

È così che nel 2014 Baydar ha pensato di raccogliere le centinaia di storie di giornalisti turchi licenziati e arrestati: «In prigione ci sono 176 giornalisti, 191 sono i media chiusi, i loro archivi informatici distrutti, migliaia di colleghi perbene licenziati e impossibilitati a trovare lavoro». Baydar non demorde. A luglio ha pubblicato in Germania “La speranza muore sul Bosforo” – Come la Turchia ha ingannato democrazia e libertà”, saggio sulle tappe della deriva turca. La sua analisi: «Non sarebbe un’esagerazione, né un’affermazione di orgoglio dire che noi, fra i quali solo alcuni impauriti dall’oppressione nel giornalismo turco, siamo le talpe dell’epidemia globale di demonizzazione del nostro mestiere, e della deriva che fa marcire il nostro settore da parte di politici e proprietari corrotti. Penso che la nostra lungimiranza provi tristemente che le democrazie  cominciano a indebolirsi, e a cadere, quando noi media indipendenti vediamo quello a cui siamo soggetti».