Esteri

Stati Uniti e Cina riprendono i colloqui sul commercio: i dossier sul tavolo

Riequilibrio della bilancia commerciale, ma soprattutto la difesa del primato tecnologico americano: le richieste di Washington a cui Pechino potrebbe fare delle concessioni 

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A 52 giorni dalla scadenza della tregua sui dazi, le trattative commerciali tra Stati Uniti e Cina entrano nel vivo. Una delegazione americana guidata dal vice rappresentante per il Commercio, Jeffrey Gerrish, è arrivata Pechino, dove tra oggi e domani incontrerà i pari grado mandarini. Non si tratta ancora dei capi negoziatori, che entreranno in gioco se e quando un accordo sarà in vista.

A vedersi però sono funzionari un gradino appena più in basso nella scala gerarchica, segno secondo alcuni analisti che sul tavolo ci sarebbe almeno lo schema di un'intesa. Non sarà facile trovare la quadra sui temi di disaccordo più sostanziali, per esempio i sussidi che la Cina concede alle sue imprese di Stato, ma l'ottimismo espresso domenica da Trump pare condiviso dai mercati, almeno per un giorno: sulla scia del super venerdì di Wall Street, le Borse asiatiche hanno chiuso la seduta di oggi tutte in territorio positivo.
 
Le concessioni cinesi

Nelle scorse settimane, dopo la tregua siglata con Trump al G20 in Argentina, il presidente cinese Xi Jinping ha mandato una serie di segnali di "buona volontà". I dazi sulle auto americane sono stati riportati ai livelli pre escalation, sono ripresi gli acquisti di soia made in Usa per la felicità degli agricoltori repubblicani, soprattutto è stata presentata una nuova versione della legge sugli investimenti esteri che vieterebbe l'obbligo per le imprese straniere di trasferire la propria tecnologia alla Cina.

Questa "apertura" si avvicina al cuore delle richieste di Trump: ben oltre al tema della bilancia commerciale, che dovrebbe essere riequilibrata con maggiori acquisti di merci americane, gas e prodotti agricoli, quello che interessa al presidente Usa è difendere il primato tecnologico nazionale dall'assalto, più o meno legale, di Pechino. Da questo punto di vista Xi potrebbe concedere qualcosa di più, per esempio rinnovare l'impegno già negoziato a suo tempo con Obama a bloccare le azioni di cyberspionaggio contro le aziende americane.

Magari garantendo loro maggiore accesso al mercato cinese in settori fino a oggi "protetti", come la finanza o l'hi-tech. Uno dei primi obiettivi della delegazione americana sarà mettere a punto dei meccanismi per verificare che queste promesse non vengano poi disattese, come la Cina ha spesso fatto in passato.
 
I possibili punti di incontro

La possibilità di raggiungere un accordo entro la data limite del primo marzo, per evitare una ripresa dell'escalation, passa da un delicato equilibrio tra richieste americane e concessioni cinesi. La Cina è disposta a delle aperture, a patto di poterle presentare ai cittadini come decisioni autonome e di non compromettere la sua strategia di sviluppo di lungo periodo.

In altre parole, Xi non potrà mai abbandonare il sogno di trasformare il suo Paese in una superpotenza tecnologica, né affrettare una riforma delicatissima come quella delle enormi imprese di Stato, abbondantemente sussidiate, che ancora dominano larghi settori dell'economia. Sarà abbastanza per placare Trump e i falchi della sua amministrazione, quelli che vedono in Pechino il grande avversario strategico dei prossimi decenni?

A dividere i due Paesi ci sono molte altre questioni, politiche e militari, come ha dimostrato questa notte il passaggio di un incrociatore americano vicino alle isole del Mar Cinese Meridionale rivendicate dalla Cina: più il negoziato verrà esteso più sarà difficile trovare la quadra.

L'impressione è che molto dipenda dalla congiuntura economica nei due Paesi. Il rallentamento della crescita cinese, come ha detto Trump, spinge Xi ad un accordo che scongiuri nuove tariffe. Ma anche le incertezze dei listini americani sono un bell'incentivo per il tycoon. Il momentaneo allineamento fra due debolezze potrebbe facilitare l'intesa.