Esteri

Trump rinvia i dazi, verso l'intesa con la Cina: "Progressi sostanziali"

L'incontro tra le delegazioni Usa e Cina (foto d'archivio) 
L'ultimo segnale di accordo viene da Donald Trump, che in due tweet ha annunciato il rinvio dei superdazi su 200 miliardi di importazioni annue made in China. E le borse cinesi accelerano
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SAN FRANCISCO - La grande guerra economica Usa-Cina forse non ci sarà. Dopo due anni di tensioni sugli squilibri commerciali tra le due maggiori economie del pianeta, nelle ultime settimane prevalgono i segnali di accordo. L'ultimo viene da Donald Trump, che in due tweet ha annunciato il rinvio dei superdazi su 200 miliardi di importazioni annue made in China.


"Sono felice di annunciare - scrive Trump - che abbiamo fatto dei progressi sostanziali nei nostri negoziati commerciali con la Cina, su questioni strutturali che includono le tutela della proprietà intellettuale, i trasferimenti di tecnologie, l'agricoltura, i servizi, la moneta e altri temi. In conseguenza di questi negoziati produttivi, rinvierò l'entrata in vigore dei dazi che era prevista dal primo marzo. Ipotizzando che i progressi tra le due parti continuino, prepareremo un vertice con il presidente Xi a Mar-a-Lago, per concludere l'accordo".

Le Borse cinesi accelerano sull'ottimismo espresso dal presidente americano: l'indice Composite di Shanghai segna alla pausa di metà seduta un rialzo del 3,32%, a 2.897,35 punti, mentre quello di Shenzhen balza del 4,08%, a 1.537,54.


Si ritorna così alla casella di partenza, o quasi? Il presidente cinese Xi Jinping fu uno dei primi dignitari stranieri ad essere ricevuto da Trump nel suo resort privato di Mar-a-Lago in Florida: accadeva nell'aprile 2017, il leader americano era alle prime armi e subito cercò d'instaurare un'intesa personale. Tra i due uomini più potenti della terra sembrò crearsi qualche forma di complicità, presto turbata però dall'offensiva sul commercio estero.

Trump in seguito sollevò una serie di temi annosi, già denunciati dai suoi predecessori: il gigantesco squilibrio bilaterale con gli oltre 300 miliardi di dollari di avanzo a favore della Cina; il furto di segreti industriali e di know how tecnologico operato dai cinesi sia con metodi formalmente leciti, sia con la pirateria pura e semplice; la manipolazione della valuta a fini di svalutazione competitiva; il protezionismo occulto che rende il mercato cinese spesso impenetrabile agli stranieri in diversi settori.


Ma a differenza dei suoi predecessori George W. Bush e Barack Obama, Trump anziché tentare di ottenere concessioni dai cinesi per le vie legali - i ricorsi a quel tribunale del commercio internazionale che è il Wto - andò all'attacco minacciando misure unilaterali, soprattutto dazi, e poi rapidamente passò alle vie di fatto applicandoli. L'ultima raffica di dazi doveva portare le tasse punitive su 200 miliardi di merci dal 10% al 25%. Un livello altissimo per il mercato americano, anche se equivalente ai dazi in vigore in Cina.

Xi Jinping, pur denunciando l'offensiva americana, ha mostrato una certa flessibilità nelle sue concessioni: in questa guerra asimmetrica, la Cina ha molto più da perdere visto che le sue esportazioni sul mercato Usa sono quasi il quadruplo del reciproco. Ora Trump canta vittoria e si ritira, seguendo un copione per lui familiare.

Oltre che nell'opposizione democratica, anche nell'entourage di Trump molti sono scettici sulla portata delle concessioni fatte dal governo cinese; si chiedono se davvero Xi sia disposto a modificare il protezionismo strutturale della sua economia, o se invece stia facendo dei gesti ad alta visibilità (come l'aumento di acquisti dall'agricoltura americana) ma facilmente reversibili e di scarso impatto sui veri nodi strutturali.