Esteri

Nuova Zelanda, in centinaia alla moschea per commemorare le vittime della strage

Una poliziotta indossa il velo in segno di solidarietà con le vittime della strage delle moschee di Christchurch  (afp)
Cerimonia in ricordo delle vittime a una settimana dagli attentati. Le donne non musulmane si sono presentate con l'hijab in segno di solidarietà. Minacce alla premier Ardern: "Sei la prossima". L'imam sopravvissuto: "Nessuno può dividerci"
2 minuti di lettura
CHRISTCHURCH - La lezione della Nuova Zelanda al mondo si è tenuta sul prato ben curato di Hagley Park, davanti alla moschea Al Noor ancora sigillata dal nastro bianco e rosso della polizia. Sette giorni dopo la strage, centinaia di musulmani sono venuti a pregare qui, in ricordo delle 50 vittime della follia sanguinaria del suprematista australiano Brenton Terrant. E insieme a loro c'erano migliaia di cittadini di Christchurch che non condividono la stessa religione, ma credono nella potenza della solidarietà.

Tantissime le donne non musulmane che si sono presentate con l'hijab attorno alla testa, per esprimere vicinanza alle famiglie che hanno perso padri, fratelli, figli. Alcune si sono arrangiate con una sciarpa, altre con grossi fazzoletti di cotone, andava bene tutto, era importante il simbolo. Lo ha indossato anche una poliziotta in servizio, impegnata a monitorare l'area dove si è tenuta la cerimonia. E decine di volontarie che hanno dato una mano a smistare giornalisti e fedeli.


Se lo è messo la premier laburista Jacinda Ardern, ed è la seconda volta: la prima il giorno dopo l'attentato, quando è venuta a Christchurch per abbracciare i familiari delle vittime. Ha partecipato anche lei, nonostante le minacce di morte ricevute su twitter da un profilo sconosciuto che le ha mandato la foto di un fucile con la scritta "You are next", tu sei la prossima. Ma sul palco Jacinda Ardern, rivolta ai musulmani, ha ribadito un concetto a lei caro: "La Nuova Zelanda piange con voi, siamo una cosa sola".

(reuters)

Ad Hagley Park non ha trovato posto la paura, e neanche il risentimento. C'erano anche le bande di biker, arrivati con moto e giacchetti di pelle "per difendere la città", così dicevano, nel primo venerdì dopo l'attentato. Per un giorno l'Islam è uscito dalle moschee e si è inginocchiato sul prato davanti a tutti.

All'1.30 gli altoparlanti hanno diffuso la voce potente del muezzin, che chiamava alla Jumu'ah, la preghiera del primo pomeriggio. All'1.32 la nazione intera si è fermata per due minuti di silenzio. Poi ha preso la parola Gamil Fouda, l'imam sopravvissuto della moschea Al Noor divenuta la tomba di 43 fedeli. Un discorso che già qualcuno non esita a definire storico.

(afp)

"La scorsa settimana ero nella moschea e ho visto l'odio negli occhi del terrorista. Oggi sono nello stesso posto, guardo fuori e vedo amore e compassione negli occhi di migliaia di neozelandesi e di altri esseri umani di tutto il mondo. Questo terrorista ha provato a lacerare la nostra nazione con l'ideologia d'odio che ha  lacerato il mondo. Ma noi invece abbiamo mostrato che la Nuova Zelanda è indistruttibile. E che il mondo può vedere in noi un esempio di amore e unità. Abbiamo il cuore spezzato, ma noi siamo intatti. Siamo vivi. Siamo insieme. E non permetteremo a nessuno di dividerci".

Nel resto del Paese alcune moschee hanno deciso di aprire le porte ai non musulmani, incluse cinque ad Auckland. Fuori dal centro islamico Kilbirnie di Wellington, invece, si è formata una catena umana in segno di supporto. Gesti collettivi che vogliono dire una cosa sola: la Nuova Zelanda non ha paura.