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Dai film al karaoke: in Cina il caso Huawei accende la propaganda anti-americana

(reuters)
L’hashtag “Go China! Go Huawei!” diventa virale, la tv di Stato trasmette film sulla guerra di Corea, Xi Jinping visita il memoriale della Lunga Marcia: lo scontro con gli Stati Uniti alimenta il nazionalismo, un'arma che però il Partito comunista sta attento ad usare
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PECHINO - Motivetto tratto da un film anti-giapponese degli anni '50. Pugno chiuso levato, su sfondo di fiamme. Cantare a tempo: "Guerra commercial / guerra commercial / non abbiam paura / se l'usurpator vuol combattere / a morte lo picchierem". Zhao Liangtian, 55 anni, ufficiale in pensione e musicista dilettante, ha fatto leva su una delle passioni nazionali, il karaoke, per lanciare la sua replica a Donald Trump. Un successone.

Nei giorni scorsi la canzoncina è diventata virale sui social media cinesi, dando voce al diffuso risentimento per l'ennesima offensiva americana. Non l'unica voce, a ben vedere. Nelle ultime ore anche l'intervista televisiva a Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, è stata condivisa milioni di volte: "Lo scontro con gli Stati Uniti era inevitabile, sottovalutano la nostra forza", dice l'anziano imprenditore, anche lui passato dall'esercito. Sotto, messaggi di utenti pronti ad arruolarsi per la patria: da oggi in poi non compreremo più telefoni Apple, ma solo Huawei. Funzionano altrettanto bene, e costano meno.


Segnali di una crescente avversione contro gli Stati Uniti, a livelli di guardia. Alimentata dalla convinzione che il vero obiettivo dell'America, un tempo temuta e ammirata in parti uguali, sia contenere l'ascesa del Dragone: Trump non ha forse promesso che eviterà il sorpasso? I media di regime, a cui per lunghe settimane è stato vietato il termine "guerra" commerciale, optando per un più neutro "disputa", ora sono tornati più bellicosi che mai.

Il sesto canale di Stato ha all'improvviso modificato il palinsesto, inserendoci tre film storici sulle battaglie tra cinesi e americani in Corea. E il presidentissimo Xi Jinping è partito con tutti i fedelissimi, compreso il negoziatore capo Liu He, alla volta del Jiagxi, per deporre una corona di fiori nel luogo da cui è partita la riscossa dell'esercito comunista di Mao: "Ci aspetta una nuova Lunga Marcia", ha detto.


È chiaro che al presidente eterno fa comodo avere una minaccia di fronte a cui serrare le fila del Paese, specie in un periodo in cui la frenata dell'economia rischia di provocare mal di pancia. Era una retorica scelta già a inizio anno, quando pure con Trump si era fatta tregua: i rischi sono tanti, tutti devono unirsi attorno al Partito. Che la leadership però decida di fare un passo, usando il risentimento come arma, non è scontato.

In passato, durante dispute territoriali o militari con Giappone e Corea del Sud, il Partito ha promosso dei veri e propri boicottaggi contro le loro merci. Ma aizzare le folle rischia di essere pericoloso, per una leadership ossessionata da stabilità e controllo. Nel caso alla fine Xi dovesse piegarsi di fronte a Trump, quello stesso risentimento potrebbe rivolgersi contro di lui, l'uomo che aveva promesso alla Cina il grande ringiovanimento. Senza contare che sui cinesi il "soft power" americani, dall'Nba a Game of Thrones, hanno ancora grande presa.

Per ora quindi l'orgoglio nazionale è esibito per intimorire, o per non mostrarsi intimoriti, lasciando allo stesso tempo aperta la possibilità di un accordo. Allo stesso tempo, confermano diverse fonti, pure tra gli intellettuali e i funzionari del Partito comunista cresce la convinzione che il vero obiettivo degli Stati Uniti sia "contenere" la Cina. Qualche settimana fa l'Editrice del popolo ha ripubblicato una raccolta di scritti di Mao di fine anni '30 dal titolo eloquente: "Su una guerra prolungata". La Cina si prepara.