Esteri

Arresti e censure: così in Cina il regime cancella il ricordo di Tienanmen

Una manifestazione studentesca per la democrazia, piazza Tiananmen, 17 maggio 1989  (ansa)
In vista dell'anniversario della strage il 4 giugno, attivisti e testimoni vengono tenuti ai domiciliari o spediti lontano da Pechino, gli eventi pubblici vietati, i controlli rafforzati. Con un'attenzione ossessiva alla Rete: anche l'intelligenza artificiale usata per cancellare la storia
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PECHINO - Se le più avanzate app cinesi ci mettono la bellezza di una settimana per aggiornare i loro sistemi, qualche sospetto viene. Se lo fanno tutte insieme, i sospetti crescono. E se lo fanno proprio a cavallo del 4 giugno, la data innominabile per il Partito comunista cinese, il giorno del 1989 in cui i suoi leader mandarono l'esercito a sparare sulla folla di Piazza Tienanmen, i sospetti toccano il massimo.

Nelle ultime ore alcune delle maggiori piattaforme cinesi di streaming, a cominciare da Bilibili, 100 milioni di utenti, passando per YY, Huya e Douyu, hanno annunciato che a causa di un aggiornamento alcune delle loro funzioni non saranno disponibili fino al 6 giugno, guarda caso. Nessun nuovo utente potrà registrarsi, nessuno potrà cambiare la propria foto profilo e nessuno potrà postare i danmu, i commenti in tempo reale che appaiono sotto ai video, registrati oppure trasmessi in diretta.

Ovviamente, nessuna delle piattaforme coinvolte commenta. Ma il sospetto è che questa sia l'ultima frontiera del buco nero informativo creato dal governo cinese attorno alla strage di Tiananmen. Un vortice da cui quest'anno, trentesimo delicatissimo anniversario, non deve scappare neppure una scintilla di verità. Così insieme alle "consuete" misure di sicurezza, attivisti e testimoni della strage come le "madri di Tiananmen" tenuti agli arresti domiciliari o spediti in "vacanza" lontano da Pechino, eventi pubblici vietati, controlli di polizia rafforzati, le autorità sembrano dedicare una attenzione ossessiva alla Rete.

In parte stringendo le maglie della grande muraglia digitale, come è stato fatto con le versioni non cinesi di Wikipedia, rese inaccessibili già da aprile. In parte spingendo le stesse piattaforme ad auto censurarsi, come impongono le nuove e più stringenti regole sulla sicurezza informatica volute da Xi Jinping. Infine affidandosi a un esercito di censori in carne e ossa, che per l'occasione viene rafforzato di effettivi.

Il controllo del discorso online non è certo una novità. Nel 2012 l'ultra zelante polizia del pensiero arrivò perfino a bloccare ogni riferimento alla Borsa di Shanghai, che aveva chiuso al ribasso di 64.89 punti, casuale riferimento alla data della strage. Il vero passo in avanti però, raccontano fonti del mondo tecnologico cinese a Reuters, è nell'utilizzo dell'intelligenza artificiale al servizio della cancellazione della storia.

L'eliminazione dei contenuti sensibili ormai è affidata soprattutto ad algoritmi di apprendimento lessicale o riconoscimento delle immagini, che li bloccano prima ancora che vengano pubblicati e possano fare danni. E poco importa se è solo la foto della Piazza fatta da un turista, meglio sbagliare per eccesso. 

Pur non essendoci statistiche ufficiali, Human Rights Watch denuncia che quest'anno anche il controllo sugli attivisti è più stretto. L'organizzazione per i diritti umani ha compilato un elenco di persone che sono state messe agli arresti in casa, sorvegliate a vista, come due delle "madri di Tienanmen" che hanno perso i figli durante la repressione, entrambe 80enni, oppure mandati a prendere aria lontano dalla capitale, come l'attivista Hu Jia. Pure nei campus universitari il Partito ha silenziato per tempo tutte le voci dissonanti. Almeno due decine di studenti dell'associazione marxista dell'Università di Pechino, la stessa Beida dove le proteste del 1989 sono nate, sono stati arrestati, rimandati nei loro villaggi di origine oppure detenuti in luoghi segreti.

La capillarità e l'estensione di questa cortina di oblio sono un riflesso diretto della svolta autoritaria imposta al Paese da Xi Jinping, ma anche del momento delicatissimo che sta vivendo la Cina, con l'economia in frenata e la disputa con gli Stati Uniti ancora lontana da una soluzione. Gli attivisti e i vecchi leader della protesta, molti dei quali vivono all'estero, chiedono al Partito di riconoscere la strage e punire i responsabili. A trent'anni di distanza però per i cinesi di Cina il 4 giugno è solo una data come le altre.

"Non sono d'accordo con l'uso della parola repressione", ha detto ieri in conferenza stampa un portavoce del ministero della Difesa, a un giornalista che gli chiedeva se l'esercito avrebbe in qualche modo ricordato quello che qui è archiviato come un "incidente". "Negli ultimi 30 anni, il corso delle riforme cinesi, lo sviluppo e la stabilità, i successi che abbiamo ottenuto hanno già risposto a questa domanda".