Anna Piaggi 1986 foto Alfa Castaldi @Courtesy Paolo Castaldi
Anna Piaggi 1986 foto Alfa Castaldi @Courtesy Paolo Castaldi 

Anna Piaggi e il mito, a 90 anni dalla sua nascita

Il 22 marzo avrebbe festeggiato il suo novantesimo compleanno la visionaria della moda

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Grande protagonista della moda del Novecento, spesso liquidata semplicemente come giornalista di moda, Anna è stata molto altro. Talent scout, grande collezionista, iniziatrice del vintage (quando l’usato d’autore ancora non interessava a nessuno) e individuatrice di tendenze.

Celebri sono rimasti i suoi accostamenti azzardati di tuniche di Mariano Fortuny con sandali di Manolo Blahnik, così come i mantelli di velluto anni venti di Maria Gallenga con abiti t-shirt di Missoni anni settanta. Di lei ha detto il suo amico Jean-Charles De Castelbajac: “Apprezzavo soprattutto la dimensione archeologica. Nel suo modo dI vestire andava in scena uno scontro, era una battaglia storica vivente tra presente e passato, tra gli indiani d’America e i punk”.

Sintesi del suo stile è stato Anna-Chronique (Longanesi & Co.) volume uscito nel 1986, scritto e disegnato a quattro mani dalla stessa Piaggi con Karl Lagerfeld. “Quando [Anna] indossa un abito di un altro periodo” ha scritto Lagerfeld nella prefazione “lo porta con lo spirito di oggi. Lei fa rivivere per noi un momento lontano che credevamo di conoscere, un passato che non abbiamo vissuto ma pensiamo sia stato tale. Anna inventa la moda. Nel vestirsi fa automaticamente quello che noi faremo domani”.

Anna Piaggi, Karl Lagerfeld e Andre' Leon Talley - Parigi, 1978 @Courtesy Paolo Castaldi
Anna Piaggi, Karl Lagerfeld e Andre' Leon Talley - Parigi, 1978 @Courtesy Paolo Castaldi 

Pur essendo stata una delle voci più importanti della moda internazionale tra gli anni Sessanta e il principio del Duemila, Piaggi (1931-2012), che oggi, 22 marzo avrebbe festeggiato il suo novantesimo compleanno, non è stata così riconosciuta in Italia e all’estero è più celebre che da noi. Basta pensare ad Anna Piaggi. Fashion-ology (2006), la mostra che le ha dedicato il Victoria and Albert Museum di Londra. Natalia Aspesi, sua cugina prima (le loro madri erano sorelle), così ha commentato su Repubblica quella mostra: “In un Paese come il nostro, dove si ha diritto alla fama popolare e all’interesse degli intellettuali solo se si mimano villanate in televisione, saranno in tanti a chiedersi chi mai sia questa signora cui un grande museo straniero dedica tanta devota attenzione, esponendo come fossero delle antiche cineserie o dei reperti di civiltà scomparse, tra più di 200 pezzi, un suo paio di guanti verdi di Missoni o un disegno di Lagerfeld che la ritrae per le strade di Roma (si immagina il fermento) con una giacca visite di Worth del 1882, pantaloni da motociclista-postina della Seconda Guerra Mondiale e bastoncino di ebano, ma anche una cappa rosa di Simonetta Fabiani del 1954, o lei in parrucca da Maria Antonietta, una pezza sull’occhio alla corsara, un lungo abito nero con bolero indescrivibile e guantini optical, fotografata da Alfa Castaldi”.

Anna Piaggi con il marito
Anna Piaggi con il marito 

Alfa, esponente della scena culturale milanese e frequentatore come lei dello storico bar Jamaica a Brera, divenne suo marito nel 1962. Era l’epoca in cui Anna, dopo aver lavorato come segretaria di redazione e come traduttrice, era redattrice di moda per mensile Arianna. Con lui visse in una sorta simbiosi personale e lavorativa. Con loro capitava spesso di incontrare l’anglo-australiano Vern Lambert, grande conoscitore di costume, proprietario negli anni Sessanta di un piccolo negozio di abiti d’epoca a Londra, Vern era il punto di riferimento per i costumi delle band del rock anni Sessanta dai Beatles a Jimi Hendrix. “Vern ha infuso il colore nella mia ottica, tendenzialmente black and white” ha confessato poi Anna “nelle mie pagine è stato costante researcher, stimolatore, affabulatore. Gli anni passati con lui sono stati una meravigliosa 'festa mobile'".

Oltre ad Alfa e a Vern, il mondo di Anna, che negli anni Settanta era diventata editor at large delle edizioni Condé Nast, era composto da tanti altri come l’illustratore portoricano Antonio Lopez, lo stilista Silvano Malta e Bill Cunningham, il fotografo americano che negli anni Sessanta ha inventato la fotografia di strada. “Anna lavorava con i vestiti così come i pittori fano con i tubetti di colore” avrebbe detto Cunningham, per continuare: “tra un secolo a nessuno importerà della moda commerciale dei nostri anni. La gente vorrà invece sapere chi era quella donna”. 

Dopo tanti progetti, tra cui Vanity, pionieristica rivista che Anna diresse all’inizio degli anni Ottanta, nel 1988 arrivarono D.P. Doppie pagine di Anna Piaggi (con scatti realizzati prima da Alfa e poi alla sua morte da Bardo Fabiani). Si trattava di  una rubrica che illustrava la ‘collusione’ tra diversi spunti stilistici e che poi è in parte confluita nel libro Fashion Algebra (Leonardo Arte 1999). “Scorrendo queste immagini” racconta Luca Stoppini, art director di Vogue Italia che a D.P. ha lavorato sin dagli esordi “si capisce quanto le pagine di Anna siano state anticipatrici e aspirazionali. Anna non era un personaggio da ‘front-row’ ma un animale da ‘backstage’. È stata lei a inventare il backstage, famose scorribande fotografiche dietro le quinte delle sfilate con Alfa alla ricerca di immagini impossibili”. Esempio perfetto di sintesi tra moda, immagine e grafica, Anna ha tenuto quella rubrica fino alla sua morte, nel 2012. A sfogliarla oggi si capisce come, come con un punto di vista unico, fuori dal coro, abbia saputo rendere durevole l’effimero.