Oggi è la Giornata dell'aborto libero e sicuro: ma lo è davvero? Difficoltà e tempi, anche per le minorenni

Una manifestazione a Napoli in difesa della legge sull'aborto
Una manifestazione a Napoli in difesa della legge sull'aborto 
La libertà di aborto e la sicurezza di aborto non chiamano in causa soltanto la libertà di scelta della donna, ma una serie di libertà e diritti umani internazionalmente riconosciuti. Eppure, i dati che accompagnano la giornata del 28 settembre sono sconfortanti, anche in Italia dove la percentuale di ginecologi obiettori è al 64,6%. Un dato che blocca e ritarda anche l’aborto farmacologico, regolamentato dal 2020 e previsto anche per le minorenni
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C’è una storia di libertà al cuore dell’International Safe Abortion Day, la Giornata Internazionale dell’Aborto Sicuro che si celebra oggi in tutto il mondo. Promossa dalla Women’s Global Network for Reproductive Rights, la data del 28 settembre non è casuale, ma è stata scelta in ricordo della “Law of Free Birth”. Questa legge, passata dal Parlamento brasiliano nel 1871, forniva la riforma legale per assicurare libertà ai figli delle persone schiave. Non è un caso, dunque, se pochi giorni fa l’influente NARAL (National Association to Repeal Abortion Laws), il gruppo americano che si oppone alle leggi restrittive sull’aborto (fra i fondatori c’era anche Betty Friedan, autrice di “La Mistica della Femminilità”), ha lanciato una campagna di rebranding passando dal celebre slogan “Pro-Choice” a “Reproductive Freedom for All”.

A differenza di quello che si potrebbe pensare, infatti, l’aborto e la sicurezza dell’aborto non chiamano in causa soltanto la libertà di scelta della donna, ma una serie di libertà e diritti umani internazionalmente riconosciuti. Come la libertà dalla tortura, da pratiche crudeli, inumane e degradanti, il diritto alla non discriminazione e all’eguaglianza, il diritto alla vita, alla salute, all’informazione, il diritto di godere dei benefici del progresso scientifico. E poi, come ricorda la Law of Free Birth, la possibilità di assicurare un futuro di libertà ai propri figli.

La schiavitù della povertà

Le limitazioni all’aborto, infatti, hanno conseguenze devastanti non solo per le persone direttamente coinvolte e le loro famiglie, ma anche per le comunità, fa sapere il Guttmacher Institute, la Ong che mira a migliorare la salute sessuale e a espandere i diritti riproduttivi nel mondo (www.guttmacher.org). Negli Stati Uniti, per esempio, i 26 Stati con le leggi più restrittive sull’aborto sono anche quelli in cui le donne guadagnano meno della media nazionale (750 dollari contro 887 dollari a settimana), il 20,8% dei minori vive sotto la soglia della povertà contro il 14,6% dei 13 stati con le leggi meno restrittive. Crescere in contesti disagiati, inoltre, ha conseguenze negative di lungo termine, compresi peggiore salute, minore scolarità e minor capacità reddituale. Gli Stati con leggi più restrittive sull’aborto sono anche quelli che non assicurano il congedo parentale retribuito e si fanno notare per un minor investimento sull’istruzione pubblica con una media di 9.800 dollari l’anno per studente contro i 16.100 degli Stati che proteggono il diritto all’aborto. Dopo che la Corte Suprema americana ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto lo scorso anno  fa sapere sempre la Ong - il 58% delle donne in età fertile vive in uno stato ostile o estremamente ostile all’aborto, contro il 95% delle donne europee che vive in uno stato che garantisce il diritto all’aborto entro il terzo trimestre (Paesi Bassi e Norvegia hanno limiti più alti). Se negli Stati Uniti il 60% delle donne che ricorre all’aborto sono già madri (dati 2019 del Centers for Disease Control and Prevention). Monitorando quasi mille madri a cui è stato negato un aborto, “The Turnaway Study” che ha ha scoperto che gli altri figli della donna hanno quattro volte più possibilità di vivere in povertà.

Le leggi contro l'aborto impattano soprattutto sulle adolescenti

Secondo i dati della World Health Organization, le complicazioni legate alla gravidanza e al parto sono la causa principale di morte per le ragazze di età compresa fra 15 e 19 anni e questo, a maggior ragione, è vero nei Paesi a basso e medio reddito dove il 55% delle gravidanze adolescenziali indesiderate termina con un aborto. Mentre nei 47 Stati africani membri della WHO, il tasso di gravidanza riguarda 97 adolescenti su mille adolescenti, in Europa il dato scende a 13,1 su mille.
In Occidente, il numero di gravidanze giovanili e il numero di aborti tendono a calare -  negli Stati Uniti, le gravidanze sono passate dal 9 al 6% fra il 2006 e il 2017 e il numero di aborti è sceso dal 17 al 12%, l’Italia si attesta (dati 2019) a 2,3 minori ogni mille donne -, il numero di parti continua a essere elevato.

Le leggi restrittive sull’aborto impattano in modo particolare sulle adolescenti. Per esempio, negli Stati Uniti, dodici stati non fanno eccezioni per l’accesso all’aborto nel caso violenza sessuale e incesto e anche negli Stati in cui questo è ammesso, la minore età complica le cose, in quanto sono richiesti l’intervento della polizia e il consenso dei genitori.

In Italia, la legge prevede che per l’interruzione di gravidanza nel caso della minore età sia necessario il consenso di entrambi i genitori oppure attraverso l’intervento del Tribunale dei Minori. Quindi, accade che il legislatore permetta al minore di diventare genitore, ma non di avere un aborto.

Aborto farmacologico anche per le minorenni: l'Italia è in ritardo

Negli Stati Uniti, il 54% degli aborti è condotto con metodo farmacologico, il dato sale al 70% in Francia e supera il 90% nei Paesi del Nord Europa. In Italia, fino al 2018, era usato solo nel 20,8% dei casi, nonostante la percenutale di assenza di complicanze si attestasse al 96,5%.

Dal 2020, inoltre, sono cambiate le modalità di esecuzione dell’aborto farmacologico che estende da 7 a 9 le settimane settimane di amenorrea entro cui è possibile interrompere la gravidanza, pari a 63 giorni, e non richiede più l’ospedalizzazione, ma può essere eseguito in day hospital e anche presso consultori e strutture ambulatoriali autorizzate dalle Regioni, nonché consultori.
Il problema sono i tempi: il sito dei Consultori Privati Laici indica che negli ospedali ci sono liste di attesa che vanno da 8 a 30 giorni. Dopo che il medico ha redatto la richiesta per l’interruzione di gravidanza devono passare sette giorni (di riflessione) prima di iniziare la procedura.

Secondo di dati del Ministero della Salute attualizzati dall’indagine “Mai Dati” resa nota dall’Associazione Luca Coscioni, lo scorso anno il numero degli obiettori toccava il 64,6% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico, ma con differenze regionali: in 22 ospedali e 4 consultori l’obiezione raggiunge il 100% di tutti gli operatori coinvolti, in 18% ospedali il 100% dei ginecologi sono obiettori.

Ma non è tutto: 46 ospedali hanno un obiezione superiore all’80% e 11 regioni hanno almeno un ospedale in cui è impossibile esercitare il diritto all’aborto sancito dalla Legge 194 (Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto).

L'accesso all'aborto farmacologico in Italia, regione per regione

In Italia si registrano forti differenze tra le regioni, e sono poche quelle in cui è possibile effettuarlo in regime ambulatoriale secondo il quadro tracciato da Medici nel mondo. In Sicilia, ad esempio, su 57 reparti di ostetricia e ginecologia solo 31 effettuano Ivg e la RU486 è disponibile solo in ospedale. I ginecologi obiettori sono l'81,6%, con picchi del 100% in 26 strutture. A Catania l'Ivg farmacologica non è disponibile in nessun ospedale, mentre a Messina solo il Policlinico somministra la RU486 e lo fa solo da qualche mese.
Andiamo al nord: il Piemonte da avanguardia italiana è diventato terreno di uno scontro politico. Oggi le Ivg farmacologiche si effettuano in praticamente tutti gli ospedali del Piemonte, prima regione italiana per numero assoluto di aborti farmacologici. Ma nel 2020, la Regione, a guida centrodestra, ha diramato una circolare che vieta la somministrazione della RU486 nei consultori e attiva negli ospedali 'sportelli informativi' gestiti da associazioni antiabortiste. Opposto il caso del Lazio: per promuovere "un percorso di civiltà per tutelare il diritto alla salute e il diritto di scelta delle donne", a dicembre 2020 la Regione ha approvato un nuovo protocollo operativo per l'Ivg farmacologica, diventando l'unica regione italiana a prevedere nel regime ambulatoriale la procedura at home, secondo le linee guida internazionali. In questa direzione si è mossa anche l'Emilia-Romagna, che da settembre 2022 consente di accedere all'Ivg farmacologica in consultorio. Nel 2022 a Bologna l'Ivg farmacologica ha raggiunto l'80,4% dei casi, liberando la sala operatoria e impattando positivamente l'organizzazione del lavoro. Anche qui, molte le donne che arrivano da fuori regione.