Politica

Stipendi, sprechi, vitalizi: le tre promesse dimenticate di Di Maio

Il 2 marzo il leader grillino annunciò in piazza il primo decreto del suo governo. L'esecutivo Conte ha compiuto cento giorni, ma i soldi dei parlamentari non sono stati toccati. Come i presunti sperperi. E le pensioni sono state solo ricalcolate
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ROMA - Adesso che i fatidici cento giorni della luna di miele giallo-verde sono passati, è arrivato il momento di chiedere a Luigi Di Maio - già candidato premier e attuale vicepresidente del Consiglio - che fine abbiano fatto le nove pagine che lui sventolava in piazza del Popolo la sera del 2 marzo scorso. Non è una domanda oziosa, perché in quelle nove pagine non c'erano gli appunti per il suo ultimo comizio prima del voto, ma qualcosa di molto più importante.

M5s, quando Di Maio prometteva in piazza: "Al primo consiglio dei ministri taglio stipendi, vitalizi e 30 miliardi di sprechi"


«Vi presento – disse quella sera, con il tono del presentatore che sta introducendo sul palco un ospite a sorpresa – il primo decreto legge del primo Consiglio dei ministri del Movimento 5 Stelle». Naturalmente eravamo tutti curiosi di sapere cosa ci fosse scritto in quei fogli che lui mostrava al pubblico. E lui lo rivelò: «E’ un decreto in tre punti. Al primo punto dimezziamo lo stipendio ai parlamentari della Repubblica! (fragoroso applauso della piazza). Al secondo punto togliamo i vitalizi ai politici! (altro lungo applauso). E al terzo punto di questo decreto tagliamo 30 miliardi di sprechi e privilegi e li rimettiamo in aiuti alle famiglie che fanno figli, a chi perde il lavoro e ai pensionati! (coro entusiasta: “O-ne-stà, o-ne-stà”)».


Comprensibilmente soddisfatto di quella calorosissima reazione, il leader del Movimento volle aggiungere anche i dettagli, alla sua promessa solenne. Specificando quanto era lungo il testo del provvedimento e quanto tempo sarebbe occorso per renderlo operativo: «Queste sono nove pagine, nove pagine di decreto legge. Bastano 20 minuti di Consiglio dei ministri per approvarlo».

Una grande mossa a effetto, paragonabile all’indimenticato “contratto con gli italiani” di berlusconiana memoria. Ma le cose, purtroppo per Di Maio, sono andate diversamente. Quel decreto non è stato approvato né al primo, né al secondo né al terzo Consiglio dei ministri. Non è mai stato messo all’ordine del giorno. Anzi, non se n’è proprio più parlato, dal giorno del giuramento del governo Conte.


Quanto alle tre promesse, nessuna di esse è stata mantenuta. Lo stipendio dei deputati - il tema che i pentastellati hanno cavalcato per cinque anni, con i loro maxiassegni di restituzione, le foto in piazza Montecitorio e le note spese pubblicate su Internet – è ancora quello della scorsa legislatura (5.346 euro netti, più 3503 di diaria, più 3690 per “spese di mandato”, più 1400 per telefoni e trasporti, totale 13.939 euro, ovvero 15 volte il salario medio e 31 volte la pensione minima). Adesso che i cinquestelle hanno i numeri per ridurre queste cifre, e il presidente della Camera è finalmente uno dei loro, l’argomento è misteriosamente scomparso dai radar.

Secondo punto: i vitalizi ai politici non sono stati tolti, semplicemente perché non era possibile toglierglieli. Sono stati ricalcolati, con una contestatissima delibera che è ad altissimo rischio di annullamento, e che vale per gli ex deputati ma non per gli ex senatori: niente male come pasticcio. Ma il vero mistero riguarda il terzo punto. Se è vero che Di Maio aveva individuato già a marzo «30 miliardi di sprechi e privilegi» da tagliare, e che aveva già steso il testo del decreto legge, perché non ha ancora rivelato al ministro Tria e al presidente Conte dov’è questa montagna di burro scaduto nella quale può finalmente affondare il coltello del governo giallo-verde? Perché la tiene nascosta, quella lista, invece di tirarla fuori per distribuire, come aveva promesso, «aiuti alle famiglie che fanno figli, a chi perde il lavoro e ai pensionati»?

Se davvero il giovane Di Maio è davvero così diverso da chi lo ha preceduto, dovrebbe dare una risposta innanzitutto a chi lo ha votato. Potrebbe, certo, cavarsela dicendo che ha dovuto fare un’alleanza – pardon, un contratto – con la Lega. Ma questo vorrebbe dire, per esempio, che è stato il cattivo Salvini a mettere il veto al dimezzamento degli stipendi dei parlamentari. E vorrebbe anche dire che una volta entrati nel Palazzo i seguaci di Beppe Grillo hanno disinvoltamente tradito la bandiera della loro battaglia contro la casta. E’ andata così? Sarebbe molto interessante saperlo. I cento giorni sono passati: è arrivato il momento di rivelare dove sono finite quelle nove pagine, o se quelli erano solo dei fogli bianchi, buoni solo per incassare applausi e voti.
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