Politica

Martina, il grande mediatore ora è pronto alla battaglia per la segreteria Pd

Maurizio Martina  (ansa)
Toni pacati, atteggiamento moderato e schivo, l'ex ministro delle Politiche agricole ha la fama di gran lavoratore e di dirigente abile nel ricucire rapporti. Ma sulla corsa al Congresso, sfidando Zingaretti, non ha accettato passi indietro
2 minuti di lettura
DALLE SUE parti a Mornico al Serio, a pochi chilometri da Calcinate, dove è nato, nel bergamasco, lo avevano soprannominato il democristiano comunista. Toni pacati, atteggiamento moderato e schivo e repentine passioni come quella per il teatro. Ma tanta acqua è passata sotto i ponti e Maurizio Martina, 40 anni, famiglia operaia, si è trovato al centro della scena politica nel periodo più difficile per il Pd, di cui nel 2017 era diventato vice segretario.
Matteo Renzi l'aveva scelto perché gli coprisse l'ala sinistra. E lui aveva cucito rapporti con Emma Bonino, la storica leader radicale e di +Europa, contribuito a sciogliere i dubbi di Beppe Sala per candidarsi sindaco di Milano.

Non un trascinatore, il Maurizio. Però si era guadagnato la fama di essere un mediatore, un dirigente serio, cocciuto, accanito lavoratore. L'uomo giusto per occuparsi di Politiche agricole quando, sponsor in prima battuta Pier Luigi Bersani (allora ancora nel Pd) fu indicato come ministro. Di quella stagione Martina ricorda sempre due cose: la legge contro il caporalato, per la quale è rimasto in trincea finché non è stata approvata; e la complicata partita dell'Expo milanese condotta con successo.

Sposato, due figli, l'orgoglio della sua terra ("Da noi Olmi ha girato l'albero degli zoccoli"), la Cascina San Carlo dove è nato e dove abitano ancora i suoi, ottimi rapporti con i cattolici. Quando gli è toccato prendere in mano le redini di un Pd all'angolo, sconfitto pesantemente alle politiche del 4 marzo dopo le dimissioni di Renzi, ha battuto su un tasto: "È necessario fare squadra". "Noi dem siamo somma non divisione".  Una svolta. L'indicazione che il partito del Capo era finito. Salvo poi dovere  fare lo stesso i conti con Renzi che ha stoppato i suoi sforzi di confrontarsi con i 5Stelle e Roberto Fico.

Però nominato segretario, sia pure di transizione, nell'Assemblea dei mille delegati dem del 7 luglio, ha composto una segreteria con rappresentanti di tutte le correnti, da Gianni Cuperlo al renziano Matteo Ricci. Prima riunione nella periferia di Torre Bella Monaca, a Roma. E poi Scampia a Napoli. C'era davanti alla nave Diciotti. Allo Zen a Palermo. Ai funerali delle vittime del Ponte Morandi a Genova si è preso i fischi. All'Ilva a Taranto la diffidenza di tutti.

Però Martina non ha mollato. Neppure quando Dario Franceschini provò a dissuaderlo dalla sfida con Nicola Zingaretti - il candidato dem oggi dato per favorito - per non dividere un fronte tutto sommato affine. Ma Maurizio era forte di tante iniziative: della riuscita manifestazione di piazza del Popolo il 30 settembre e dell'appoggio di Graziano Delrio. Dossettiano, renziano della prima ora ma sempre autonomo, Delrio ha a sua volta convinto Matteo Richetti, già pronto a candidarsi, ad appoggiare Martina. Insieme fanno un ticket. Anzi, ha creato la squadra dei quarantenni, con Debora Serracchiani, Andrea De Maria di Sinistradem, Francesco Nicodemo. Slogan "Fianco a fianco". Mission: cambiare ma senza rotture e lacerazioni. Della stagione renziana cosa pensa? "Ci sono state cose molte buone ed errori". Da dove pensa di ripartire? "Da lavoro e scuola".  Ha una nostalgia? Per quando giovanissimo a teatro interpretava la parte di uno degli uomini della scorta di Giovanni Falcone. E anche un po' per l'inizio della militanza, quando rimetteva su la sezione. Non a parole, ma manualmente: "Immodestamente, posso dire di sapere lavorare il cartongesso. È un'arte".
I commenti dei lettori