Politica

Zingaretti, gli scontri evitati e quella fama di imbattibile giocata per prendersi il Pd

Nicola Zingaretti 
È stato a volte accusato di schivare le sfide più complesse. Ma, dalla segreteria della Fgci fino alla riconferma alla guida della regione Lazio, la sua ascesa è stata un susseguirsi di successi. Anche se i vertici del partito l'hanno spesso considerato un corpo estraneo
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Stavolta nessuno potrà più rinfacciargli ciò che amici e detrattori gli contestano da sempre: lo scarso coraggio politico. Quell'attitudine a svicolare i problemi, evitare lo scontro, sottrarsi alle sfide più complicate. Cominciarono a rimproverarglielo già sul finire degli anni Ottanta, quando poco più che ventenne Nicola Zingaretti diventa prima segretario romano della Fgci, poi nel '91 segretario nazionale della sinistra giovanile, per conquistare l'anno successivo il suo primo scranno da consigliere comunale in Campidoglio.

Da allora ne ha fatta di strada il giovane comunista cresciuto all'ombra di "padri"  ingombranti - Goffredo Bettini e Walter Veltroni - nel cui solco si è sempre mosso fino ad aspirare alla poltrona del primo segretario pd. Classe 1965, figlio - insieme al celebre Luca e ad Angela - di un direttore di banca "che non ha mai fatto un'assenza in 40 anni di lavoro" e di un'impiegata dell'Inail, della sua infanzia ricorda la vita di quartiere alla Montagnola e i riti quotidiani di una famiglia che la sera d'estate andava a vedere i film proiettati a Massenzio o la Rassegna dei Poeti sulla spiaggia di Castelporziano. Riprodotti in piccolo ancora oggi, tutte le domeniche, quando fratelli e nipoti si ritrovano a pranzo dall'anziana madre, scampata per puro caso alle deportazioni nazifasciste che condannarono a morte la bisnonna.

"Era una bella Roma, in cui ti sentivi legato alle persone, anche a quelle che non conoscevi, attraverso il fare insieme le cose", ha raccontato più di una volta per spiegare l'origine della sua ossessione: riannodare i fili di una comunità. La cura che da quasi sei anni sta sperimentando da governatore del Lazio e ora intende applicare al Pd.

La sua prima manifestazione studentesca, Piazza del Popolo, 13 maggio 1981, si scioglie all'improvviso perché in San Pietro Alì Agca ha sparato a papa Wojtyla. È in quel frangente che Nicola incrocia Cristina, liceali entrambi, più o meno da quel giorno fidanzati, poi marito e moglie, fino a oggi, trent' anni e due figlie adolescenti: Flavia e Agnese, la seconda chiamata come il titolo del libro di Roberta Viganò letto da ragazzo che, dice, gli ha cambiato la vita.

Da lì in poi Zingaretti studia da leader nazionale, ma partendo dal basso, dalla dura gavetta locale con sguardo però puntato in alto: funzionario a Botteghe oscure col suo amico Nichi Vendola, volontario in Bosnia e in Israele per portare aiuti umanitari, il gran salto nel 2004, eurodeputato a 38 anni, i successivi quattro trascorsi a lavorare sodo senza mai esporsi, quasi invisibile. Finché nel 2008 non gli chiedono di candidarsi alla guida della Provincia di Roma: lui accetta, corre e vince a dispetto dei pronostici, proprio nello stesso giorno in cui Alemanno batteva Rutelli, diventando il primo ex missino a scalare il Campidoglio.

È lì che il Pd si accorge veramente di lui. Chiedendogli, sul finire del 2009, berlusconismo ancora imperante, di scendere in campo per la presidenza della Regione Lazio, sciolta in anticipo a causa dello scandalo Marrazzo, contro Renata Polverini, segretaria Ugl diventata star dei talk tv. È lì che Zingaretti conferma la sua fama di sor Tentenna: prima dice sì, poi ni, infine si sfila, lasciando il centrosinistra nel caos, costretto ad arrendersi all'autocandidatura di Emma Bonino.

Una scelta che il Pd contesta, deciso a non sorvolare. Ma Nicola fa spallucce, torna a immergersi nella ridotta di Palazzo Valentini, riemergendone tre anni più tardi, nel 2012, quando annuncia di voler sfidare Alemanno a caccia di riconferma come sindaco di Roma. Dura poco, però. Non più di sei mesi. Travolta dall'inchiesta spese pazze, Polverini è costretta a dimettersi dalla regione. Zingaretti coglie al volo l'occasione: "C'è una emergenza democratica, sarebbe un crimine sottovalutarla". Si candida nel 2013 e vince di nuovo, stavolta nello stesso giorno in cui Bersani "non vinceva" le politiche. Governa 5 anni e ci riprova il 4 marzo 2018, risultando per il rotto della cuffia il primo presidente del Lazio a fare il bis, mentre il suo Pd precipitava al 18% e perdeva ovunque.

Un'aura da imbattibile che Zingaretti ora intende spendere per prendersi il partito. I cui vertici lo hanno sempre considerato un corpo estraneo, fuori dai grandi giochi, e perciò inaffidabile. Perciò ha faticato non poco a trovare alleati, resistendo a lusinghe e appelli d'ogni tipo affinché si ritirasse. Ma lui stavolta ha deciso. Non si ferma il congresso, i gazebo si faranno. Gentiloni e Franceschini sono dalla sua ma lui spera nel popolo: "C'è una comunità da ricostruire".
 
 
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