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Migranti, Salvini contro il figlio di Tria: "Se fossi il padre, lo riporterei a casa per l'orecchio"

Stefano Paolo Tria, che collabora con la ong Mediterranea 
Il vicepremier leghista attacca Stefano Paolo, skipper con la Ong Mediterranea. Anche se poi frena: "Le colpe dei figli non devono ricadere sui padri"
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È forse l'ultimo motivo per cui il ministro dell'Economia Giovanni Tria si trova in questo momento sotto pressione nel governo. Ma Matteo Salvini non gli risparmia una frecciata anche sul caso del figlio Stefano Paolo, 38 anni, skipper impegnato a salvare vite umane con una barca d'appoggio alla Mare Jonio, che il 18 marzo ha portata a Lampedusa 48 migranti. "Se le colpe dei padri non ricadono sui figli, le colpe dei figli non devono ricadere sui padri. Ognuno passa il tempo come vuole...se mio figlio andasse in giro per barconi lo riporterei a casa per l'orecchio, ma ognuno fa come vuole".



"Che importa chi sono e di chi sono figlio? Importa quello che faccio", si è sfogato ieri quando la notizia è diventata pubblica Stefano Paolo Tria, conosciuto con il soprannome di Triglia anche per evitare clamori e imbarazzi. Per quella sua missione, prendere a bordo i migranti, così anomala in un governo in cui il vicepremier ha fatto dei "porti chiusi" la sua bandiera.


Non a caso Salvini, che sta partecipando a Parigi al vertice sui ministri dell'Interno europei, ha lanciato un nuovo attacco alle Ong: "Le Ong presenti nel Mediterraneo  aiutano i trafficanti di esseri umani. Gli ultimi casi mi sembrano evidenti".
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