Politica

(lapresse)

Il teatro di Salvini

Il 25 aprile: ecco che cosa si nasconde dietro la messa in scena del vicepremier che oggi va a sfidare la mafia a Corleone. Vuole creare uno strano cortocircuito: mettere in contrapposizione la lotta per la Liberazione a quella contro le cosche

4 minuti di lettura
Questa dichiarazione di Matteo Salvini sul giorno della Liberazione è stata un atto di chiarezza: "Il 25 aprile non sarò a sfilare qua o là, fazzoletti rossi, verdi, neri, gialli e bianchi. Vado a Corleone a sostenere le forze dell'ordine nel cuore della Sicilia". 

La scelta di citare i fazzoletti nei loro vari colori serve a rinnegare l'intera storia della Repubblica Italiana. La Resistenza è stata opera di gruppi socialisti, cattolici, comunisti, liberali, anarchici. Salvini ha chiarito definitivamente da che parte sta. Se pensiamo ai giganti che indossarono i fazzoletti - tra questi Ferruccio Parri, Luigi Longo, Sandro Pertini, Raffaele Cadorna, Joyce Lussu, Emilio Lussu - viene da compatire il nostro sventurato Paese, che li vede rinnegati ora da questo mediocre uomo senza qualità. 

Salvini dichiara di voler andare a Corleone a omaggiare la Polizia; ancora una volta tira in ballo le forze dell'ordine per creare uno strano cortocircuito: mettere in contrapposizione la lotta per la Liberazione dal nazifascismo alla lotta antimafia. 

Roberto Saviano: "25 aprile, il teatro di Salvini"


Ecco la "furbata", attaccare la Resistenza nascondendosi dietro la "legalità" (nel caso di Salvini usare le virgolette è d'obbligo). Il ministro non celebrerebbe l'Italia nata dalla Resistenza, ma la Polizia e la lotta al crimine. Eppure la lotta antimafia cos'altro è se non una lotta di liberazione? E la legalità, slegata dai valori costituzionali nati dalla Resistenza, è una legalità ambigua. 

Trattare come un "derby fascisti-comunisti" la celebrazione del 25 aprile significa dire che si può tifare per l'una o per l'altra parte, indistintamente. Cos'altro è questo se non un favore ai gruppi della destra radicale per i quali è sufficiente non vedere il ministro celebrare il 25 aprile per ascriverlo ai loro? 

Salvini dice che non gli interessa la storia vecchia del 25 aprile, gli importa il futuro come se il tempo archiviasse l'inutile passato, proprio lui che porta sul bavero la sagoma di Alberto da Giussano ispirandosi alla battaglia di Legnano del 1176. 

Il ministro appare ridicolo quando giura in tv di impegnarsi perché nazismo, comunismo e fascismo non tornino in Italia, ovvio che nella loro dimensione storica non torneranno ma dovrebbe piuttosto giurare che non sarà sponsor, promotore o destinatario di finanziamenti di nessuna forma di totalitarismo, cosa che non può evidentemente fare essendo vicino a Orbán e sostenuto economicamente da Putin. Slegare la lotta alla criminalità organizzata da un percorso democratico di liberazione è un atto gravissimo. 

Tutta l'ansia di Salvini nell'accreditarsi come politico antimafia dipende dal fatto che politico antimafia non lo è per nulla perché la storia del suo partito è una storia di comprovata complicità. Quella passata e, secondo le ultime cronache giudiziarie, anche quella presente. 

La Lega ha riciclato soldi grazie al faccendiere del clan De Stefano, e poi ci sono i rapporti mappati dell'inchiesta Crimine tra dirigenti leghisti e capi 'ndrina e l'elenco è ancora lungo. 
Il segretario regionale della Lega in Calabria, Domenico Furgiuele, che ora siede come deputato in Parlamento, è stato amministratore unico di una delle società del suocero, Salvatore Mazzei, che è stato condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tra i beni confiscati a Salvatore Mazzei (per 200 milioni di euro) c'è anche un hotel a Lamezia Terme in cui nel 2015 Salvini fece una conferenza stampa organizzata da Furgiuele. Nello stesso hotel, nel 2012, avevano pernottato i killer di Davide Fortuna, ucciso per ordine delle cosche, e non pagarono il pernottamento. 

Oggi invece apprendiamo dei legami pericolosi tra i vertici della Lega e Cosa Nostra. L'imprenditore Paolo Arata, secondo le accuse della Procura di Roma, avrebbe pagato il sottosegretario Siri per ottenere un provvedimento di legge (poi stralciato) che avrebbe dato vantaggi all'azienda di Arata. Ma, secondo le indagini, dietro l'azienda di Arata ci sarebbe Vito Nicastri ossia il prestanome del boss Matteo Messina Denaro. I rapporti tra Arata e Salvini sono molteplici: ad organizzare il primo viaggio negli Usa di Salvini è proprio Federico Arata, figlio di Paolo, e Paolo Arata nel 2017 parlò alla convention "Noi per Salvini". 

Se per il passato Salvini poteva raccontare di "essere arrivato dopo" (nonostante egli sia un uomo di primo piano della Lega da un ventennio), per l'affaire Siri-Arata-Nicastri-Messina Denaro questa scusa non basta. Ma cosa fareste se foste a capo di un partito così compromesso; se aveste tra i vostri uomini persone cosi ambiguamente vicine ai clan? Urlereste che siete antimafia, plaudireste a qualsiasi spacciatore arrestato. Ovvio. E così Salvini per far passare il suo falso pedigree antimafia usa la carta facile: "La mafia mi fa schifo". Tutto già visto. 

Per comprendere la messa in scena che Salvini andrà a costruire a Corleone, bisognerebbe leggere il libro di Attilio Bolzoni, Il padrino dell'antimafia, che racconta come tutte le organizzazioni criminali italiane si siano convertite alla vocazione antimafiosa all'unico scopo di continuare a fare affari, capendo che il colpo di teatro del mostrarsi antimafia è l'unico modo per continuare a fare affari. 

Tra il 2005 e il 2007, nei processi contro i maggiori mafiosi di Palermo, i mafiosi stessi urlavano "la mafia fa schifo". Ad Altofonte, un membro di Cosa Nostra aveva allestito una mostra di pittura dedicata a Falcone e Borsellino. I capi di Sicindustria pubblicamente combattevano i boss, ma erano loro soci in segreto. L'antimafia spesso è un capitale spendibile da Cosa Nostra, che è esattamente la logica che usa Salvini quando a Rosarno tuona contro la 'ndrangheta, mentre ha al suo fianco Domenico Furgiuele e il volto della Lega a Rosarno Vincenzo Gioffrè (Gioffrè ha fondato la cooperativa agricola con Giuseppe Artuso, secondo la procura di Reggio Calabria personaggio vicino al clan Pesce, e un consorzio di cooperative che ha avuto come presidente Antonio Francesco Rao, considerato vicino al clan Bellocco).

Ma a Salvini oggi non basta più dire che la mafia gli fa schifo, deve proprio urlarlo, sperando che in futuro possa valere come argomento difensivo. Siccome a Salvini di smettere la sceneggiata non possiamo chiederlo, poiché significherebbe la fine della sua attività da politico, chiediamo che a Corleone ci sia, da parte di tutte le associazioni antimafia che si riconoscono nei principi democratici, un completo boicottaggio di questa messa in scena. 

Chiediamo che le forze dell'ordine non accettino questa manipolazione e che si oppongano alla contrapposizione tra la Liberazione dal nazifascismo e la lotta antimafia. Chiedo a chi è costretto a partecipare alle buffonate promosse dal ministro dell'Interno, di sottrarsi, di girarsi di schiena, di non dargli il volto, di boicottare. Boicottare, nel rispetto degli italiani per bene, che non meritano di vedere la loro storia vilipesa e il sacrificio dei loro padri calpestato. Buona Liberazione a tutti!
I commenti dei lettori