Il Gusto

Ciccio Sultano, che scalata verso le vette della gastronomia

Ciccio Sultano, chef del Duomo di Ragusa Ibla
Ciccio Sultano, chef del Duomo di Ragusa Ibla 
Dai curriculum inviati (invano) a Marchesi e Vissani, alle esperienze in Stati Uniti e Germania. Fino al ritorno nella sua terra, con l'apertura del Diomo a Ragusa Ibla
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Siamo a Vittoria, nel Ragusano, vicini al mare e lontani da tutto il resto. Un bambino coi pantaloni sporchi e il sorriso vispo varca la soglia della pasticceria Sweet, si pulisce i piedi coperti di polvere e alza la testa. "Cercate picciotti? Sono stufo di stare in cantiere". L' uomo che sta al banco studia il bimbo, ci vede qualcosa e decide di aiutarlo. "Vatti a cambiare e torna: cominci subito". Quel bambino ha dodici anni e si chiama Franco "Ciccio" Sultano; oggi è cresciuto ed è uno dei migliori cuochi d' Italia se non del mondo. L' uomo, invece, è Vincenzo Corallo, colui che l' ha tirato su in cucina e nella vita. Orfano di padre e senza un soldo, Ciccio molla la scuola presto per andare a faticare, prima in campagna poi come muratore, e quando finalmente incontra il cibo capisce senza sforzo che quel mondo è il suo.

Da Sweet colleziona mansioni, dal barista al cuoco, se serve anche lavapiatti, ma intanto impara e non si lamenta. Lui è così, assorbe i colpi e assimila vorace. Vincenzo gli passa Sciascia, Pirandello, la Maraini; lo convince addirittura a riprendere gli studi per finire le medie. Ciccio obbedisce, ma gli torna una voglia di scuola che le sue tasche vuote non gli permettono di assecondare. Lui decide di andare avanti a imparare sul campo e, superati i vent' anni, senza smettere di lavorare da Corallo aggiunge un altro impiego: diventa cuoco in una spaghetteria notturna a Marina di Ragusa. La fatica raddoppia, ma l' amore per i fornelli impenna in modo anche più verticale, e tempo un anno Ciccio invia il curriculum a Vissani e Marchesi. Viene ignorato.

Ma non si perde d' animo, e decide anzi che ha bisogno di una svolta. Impacchetta quel poco che ha e vola insieme alla prima moglie in Germania, dove trova lavoro al servizio di un sardo, tanto duro e cocciuto quanto bravo a trattare le carni. Ancora una volta Ciccio incassa gli urli senza fiatare, e un anno dopo è fuori di lì dopo aver imparato l' imparabile. Riprende armi, bagagli e moglie (cui nel frattempo s' è aggiunta una figlia) e torna a remare verso il proprio futuro. New York, e così sia. Sei mesi di fuoco al soldo di Lidia Bastianich lo sottopongono a ritmi disumani e nuove sfide. La rete urbana newyorkese è una scatola d' acciaio che separa dalla realtà,ea Ciccio permette di riflettere sulla sua idea di cucina. Vuole solo i migliori prodotti. Vuole quasi parlare ai fagiolie alle fave, alle sarde e ai carré d' agnello... e vuole emozionare i clienti in modo sincero. In America non può e allora torna a Ragusa. Apre il Duomo, a Ibla, e comincia una scalata rapida verso le vette della gastronomia nazionale.

La sua è una cucina del mettere, non del togliere. Ciccio affina e aggiunge a ogni piatto l' ingrediente più incisivo, il sapore più netto; senza paura di risultare un po' barocco. La suaè una prepotenza meditata, fatta per lasciare il segno piuttosto che accontentare tutti; come i suoi piatti, che parlano di lui e di quant' è cambiato. Per esempio gli spaghetti alla bottarga con succo di carota, oggi divenuta crema di carota per diffondere una dolcezza più monacale. E ormai sorride spesso, Ciccio. Alla figlia, al mare, ai clienti, a sé stesso. Sorride a tutti e sorride anche al suo sous-chef, Marco Corallo, figlio di tal Vincenzo... Perché tutto, in cucina come nella vita, scorre.
(20 novembre 2014)