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Gli aborigeni "come cani": 50 anni fa il referendum che concesse loro il diritto di voto

Nel 1967 l'esito referendario concesse alle popolazioni autoctone australiane di partecipare attivamente alla vita politica. Da allora molte cose sono cambiate: Michael Anderson, nativo alla direzione del Visitor Centre di Wilpena, ci racconta come

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WILPENA POUND (Australia) - “Come cani: per la legge australiana noi aborigeni eravamo poco più che animali e ridurci in schiavitù, disperderci o addirittura ucciderci non era reato”. Sono passati 50 anni da quando il 27 maggio del 1967 l'Australia ha riconosciuto con un referendum il diritto di voto per i popoli nativi, modificando la Costituzione e permettendo così al Governo la loro tutela. Le cose sono molto cambiate da allora e anche qui, nel Wilpena Pound Resort, sui monti Flinders nella parte Sud del continente, ben il 70% dei dipendenti della struttura ricettiva immersa nel verde, è di origine aborigena mentre la proprietà è stata acquistata nel 2012 dall'Indigenous Business Australia in collaborazione con la Adnyamathanha Traditional Lands Association.

La tutela della tradizione. E il contributo dei nativi Adnyamathanha alla comprensione di una regione tanto arida e selvaggia, quanto preziosa per chi aveva imparato a viverci, è ancora più rilevante se si considera che furono loro i primi ad insediarsi su queste colline, imparando a trovare l'acqua, a impiegare le piante come rimedi naturali, dando un nome e una leggenda a ogni profilo montuoso, grotta e animale. Una cultura matriarcale che non prevede alcuna forma di scrittura, in cui l'armonia con la Terra e gli elementi del cosmo sono sacri e tutte le storie che ne spiegano il divenire sono state tramandate oralmente per migliaia di anni – tra i 40mila e i 60mila - dalle donne ai bambini.

Le grotte sacre. A raccontare con passione e nostalgia a Repubblica le storie del suo popolo, è Michael Anderson, aborigeno dai brillanti occhi verdi alla direzione del Visitor Centre di Wilpena, che grazie ai suoi antenati è ancora detentore di saperi gradualmente ma inesorabilmente in via d'estinzione. Come la lettura degli affreschi rupestri di Arkaroo Rock che spiegano l'origine delle formazioni montuose della regione: “Fino a otto anni fa c'erano degli anziani che sapevano interpretale, oggi loro non ci sono più e parte di questa conoscenza è andata perduta”.

200 anni di soprusi, rapimenti e uccisioni. Le vicende narrate da Michael celano ancora tanta sofferenza che cinque decenni dal riconoscimento dei diritti alla sua gente faticano a cancellare. Per 200 anni, infatti, nei confronti dei natii sono state perpetrate azioni vergognose. Non a caso i politici “bianchi” oggi fanno spesso ammenda, parlando di sistematico genocidio e riconoscendo come sciagurate quelle sottrazioni di bambini alle comunità di indigeni, portate avanti per almeno 60 anni al fine di civilizzarli; o la negazione del riconoscimento delle terre di loro appartenenza, o anche le discriminazioni e i maltrattamenti di ogni sorta, giustificati dallo status giuridico che li accomunava a flora e fauna.

Gli aborigeni e le regole non scritte. Ma l'equilibrio creato con la natura e le relazioni instaurare all'interno delle comunità e nei rapporti tra esse era più che codificato. Una cura speciale, ad esempio, era ed è ancora adesso riservata alle unioni e alla procreazione. Sin dai tempi antichi i nomadi australiani avevano ben compreso la l'importanza del ricambio genetico e le nozze erano ben regolamentate da una consuetudine millenaria: non era in alcun caso possibile, pena l'uccisione della coppia colpevole, un amore tra i membri della stessa comunità, proprio per scongiurare il rischio di unioni tra consanguinei. Così i membri delle tribù a Sud dei Monti Flinders, i South Wind, e quelle del Nord, i North Wind, venivano in contatto solo per celebrare riti e matrimoni. La prole avrebbe ereditato nome e apparenza tribale dalla madre. Così tutti i figli di una madre South Wind, sarebbero stati a loro volta South Wind, e avrebbero potuto sposare solo un North Wind, trasmettendo poi alla prole il nome tribale materno.

L'incontro con l'uomo "bianco". “Il mio bisnonno, o forse suo padre, non possiamo saperlo, fu il primo aborigeno a incontrare un uomo bianco, qui nel sud dell'Australia”, ricorda Michael. “Ma per diverse ragioni ai miei antenati non balenò mai l'idea di combattere e scacciare quegli strani esseri. Il concetto di proprietà privata non faceva parte del loro immaginario e quindi non avevano problemi nell'offrire e spartire ciò che avevano, salvo poi perdere ogni diritto, a iniziare da quelli sulle proprie terre. Addirittura per spostarsi da un luogo a un altro, fino al 1967, avevamo bisogno di uno speciale permesso delle autorità. Tra le tribù nomadi non c'erano conflitti, la guerra non faceva parte del nostro mondo e venire in aiuto dell'uomo bianco fu per noi istintivo, vedevamo nel loro arrivo il ritorno degli antenati”.

Il museo. E per conoscere più a fondo la tradizione aborigena, il South Australian Museum di Adelaide raccoglie oggi la più vasta collezione di oggetti e reperti di questa antica cultura, con oltre 3mila pezzi in esposizione.